giovedì 27 ottobre 2011

Slave to sensation, capitolo 3


Capitolo 3

“Non ne hai il diritto.”
Ridendo piano, fece scorrere la propria mano lungo la treccia, lasciandola. Non appena ebbe ritirato la mano, Sascha si allontanò. Il momento di giocare era finito. “Ho scelto questo luogo,” disse, rispondendo alla domanda che lei aveva posto prima, “a motivo della sua vicinanza alla natura. Anche se molti mutaforma conducono una vita civilizzata, siamo sia umani che animali, e l’esigenza di percorrere terre selvagge l’abbiamo nel sangue.”
“Quando pensi a te stesso, come ti vedi?” chiese lei. “Uomo o animale?”
“Entrambe le cose.”
“Ma uno deve essere predominante.” Una ruga di concentrazione segnò la perfezione del suo volto.
Una ruga d’espressione? Su una Psy?  Era sparita l’attimo seguente, ma lui l’aveva notata. “No. Siamo una sola cosa. Io sono una pantera tanto quanto sono un essere umano.”
“Pensavo fossi un leopardo.”
“Le pantere nere esistono in parecchie famiglie di felini. E’ il colore della nostra pelliccia che ci rende pantere, non la nostra specie.” Non era sorpreso che lei non lo sapesse. Per gli Psy i mutaforma erano tutti uguali, tutti animali. Questo era il loro errore. Un lupo non era un leopardo, un’aquila non era un cigno.
E una pantera a caccia era pericolo e furia uniti in un solo essere.

Sascha guardò Lucas che tornava alla macchina per prendere il cellulare e telefonare agli SnowDancer. Protetta dal fatto che fosse voltato, permise a se stessa di apprezzare la sua perfetta bellezza virile. Era semplicemente…seducente. Non aveva mai usato quell’aggettivo prima d’allora, non aveva mai trovato qualcosa o qualcuno per cui valesse la pena usarlo. Ma per Lucas Hunter era la definizione giusta.
A differenza del freddo formalismo degli uomini Psy, lui era ironico e alla mano. E questo lo rendeva solo ancora più pericoloso. Sascha aveva intravisto il predatore che si celava sotto la superficie – Lucas poteva anche giocare pulito, ma se fosse arrivato il momento di mordere, avrebbe puntato alla gola. Nessuno diventava alfa di predatori così giovane se non era al vertice della catena alimentare.
Non ne era spaventata. Forse perché aveva già provato il puro terrore nel labirinto della RetePsy, dove c’erano cose talmente malvagie e vili che, a confronto, la natura apertamente predatrice di Lucas era come una boccata d’aria fresca. Poteva aver cercato di affascinarla, ma non aveva mai preteso di essere altro che ciò che era – un cacciatore fin nel profondo, un predatore dentro e fuori, un uomo sensuale ben consapevole della propria carica erotica.
Lucas le faceva provare desideri ardenti, emozioni crude e selvagge che rischiavano di spezzare la maschera di freddezza Psy che indossava per sopravvivere, una maschera sempre più fragile di giorno in giorno. Avrebbe dovuto scappare via da lui il più lontano possibile. E invece, si trovò a camminare verso di lui mentre egli tornava indietro, con un argenteo e sottile strumento, estremamente più evoluto dell’invenzione di Bell, premuto all’orecchio.
 “Venderanno per dodici milioni.” Si fermò a qualche passo da lei e indicò che la connessione era attiva.
“E’ il doppio di quanto questa terra può valere sul mercato.” Non si sarebbe fatta tiranneggiare. “Offro sei e mezzo.”
Lucas accostò il telefono all’orecchio e quando non ripeté le sue parole, Sascha capì che il membro di SnowDancer all’altro capo le aveva udite. Doveva ricordarsi che, anche se gli Psy si vedevano egoisticamente come i supremi padroni del mondo, i mutaforma avevano alcune capacità di tutto rispetto.
“Dicono che non sono interessati ad arricchire gli Psy. Non gliene può fregare di meno se non la volete. La venderanno volentieri ai vostri rivali.”
Sascha però si era preparata bene. “No che non lo faranno. Il gruppo Ryka-Smythe ha già investito tutti i fondi disponibili in un’altra attività a San Diego.”
“Allora lo lasceranno vuoto. Dodici milioni o lasciano.” Lucas la osservò con uno sguardo intenso in quegli incredibili occhi verdi e Sascha si chiese se lui stesse cercando di scrutare fino in fondo alla sua anima. Avrebbe potuto dirgli che era del tutto inutile. Lei era una Psy, non aveva un’anima.
“Non possiamo affrontare un simile investimento di capitale. Sarebbe impossibile recuperare i costi. Procurateci un altro sito,” disse, impegnandosi per apparire fredda e calma, nonostante l’effetto destabilizzante che aveva la presenza di Lucas accanto a lei.
Questa volta lui dovette ripetere le sue parole al telefono. Dopo aver ascoltato per un momento, le disse: “Non rinunciano all’affare. Ma hanno una controfferta per te.”
“Ascolto.”
“Concederanno la terra in cambio del cinquanta per cento dei profitti e un accordo firmato per cui nessuna delle case sarà venduta a Psy. Vogliono anche clausole su  tutti gli atti legali in modo da assicurare che anche i futuri proprietari non possano vendere a Psy.” Scrollò le spalle. “La terra deve rimanere nelle mani di mutaforma o umani.”
Era l’ultima cosa che lei si sarebbe aspettata, e gli occhi di Lucas le dicevano che lo sapeva. E non l’aveva avvertita. Questa constatazione le impose di essere ancora più cauta. Stava forse cercando di strapparle una reazione? “Dammi un attimo. Non è una decisione che io sia autorizzata a prendere autonomamente.”
Allontanandosi un poco, sebbene non fosse strettamente necessario, si collegò alla madre attraverso la RetePsy. Di solito adoperavano un semplice collegamento telepatico, ma Sascha non era abbastanza forte da inviare comunicare a così grande distanza. La palese evidenza della sua debolezza servì a ricordarle di stare in guardia. A differenza degli altri cardinali, lei poteva essere gettata via.
Nikita rispose subito. “Che cosa c’è?” Parte della sua coscienza dialogò con parte della coscienza di Sascha in una stanza mentale chiusa, un luogo a parte nella vastità della RetePsy.
Sascha ripeté l’offerta e aggiunse: “E’ decisamente un luogo ottimale per le necessità dei mutaforma. Con gli SnowDancer che offrono la terra, il nostro investimento è ridotto della metà, perciò la compartecipazione agli utili non significherà altri esborsi. A conti fatti potremmo anche realizzare profitti superiori alle nostre aspettative.”
Nikita fece una pausa prima di rispondere e Sascha capì che stava consultando dei dati. “Quei lupi hanno la brutta abitudine di cercare di spadroneggiare in ogni cosa su cui mettono le zampe.”
Sascha supponeva che molti mutaforma predatori avessero la stessa abitudine. Come Lucas, che aveva cercato di spadroneggiare su di lei e controllarla dal momento in cui le aveva posato gli occhi addosso.
“Non sono effettivamente noti per gli investimenti immobiliari. Ritengo che questa potrebbe semplicemente essere una reazione emotiva in opposizione al permettere che il controllo di una delle loro terre vada in mano agli Psy.”
“Potresti avere ragione.” Un’altra pausa. “Redigi un accordo scritto che spcifichi che noi avremo il controllo su ogni aspetto dei lavori, dalla progettazione alla costruzione, e il controllo sulla vendita. Devono essere un partner silenzioso. Divideremo i profitti, ma nient’altro.”
“E riguardo alla loro richiesta che nessun lotto sia venduto a noi?” Noi. Gli Psy. La gente cui non era mai veramente appartenuta. Ma erano tutto ciò che aveva. “E’ legale secondo le Leggi di Sviluppo Privato.”
“Sei tu a capo di questo progetto. Che ne pensi?”
“Nessuno Psy vorrebbe comunque vivere qui.” La gran parte della sua razza sarebbe stata spaventata da così tanto spazio. Loro preferivano vivere in piccoli appartamenti con perimetri ben definiti. “Non conviene impuntarsi su questo; inoltre non dovremo pagare a Lucas quanto chiede, se non riesce a vendere tutte le case nei tempi stabiliti.”
“Sii sicura che l’abbia ben chiaro.”
“Lo farò.” Qualcosa, in modo viscerale, le diceva che la pantera era molto più avanti di loro. Decisamente Lucas non le aveva fatto l’impressione di essere uno sciocco ingenuo.
“Chiamami se hai qualche problema.”
La presenza di Nikita scintillò via. Quando Sascha tornò da Lucas, lo trovò che si sfregava la nuca come se qualcosa l’avesse irritato. Gli occhi di Sascha seguirono il movimento del suo braccio, catturati dalle linee definite dei muscoli, evidenti anche sotto la giacca di ecopelle. Ogni suo movimento era fluido, pieno di grazia, come le movenze di un grosso felino.
Solo quando lui sollevò una delle sopracciglia lei si rese conto che lo stava fissando. Cercando di contrastare il rossore che le saliva alle guance, disse: “Accettiamo le loro richieste se loro accettano di essere soci silenziosi. E questo significa nessuna pretesa di avere voce in capitolo.”
Abbassò la mano dalla nuca e avvicinò il telefono all’orecchio. “Accettano – redigerò il contratto.” Chiuse il sottile comunicatore.
“Non dimentichiamo che dovrete vendere tutte le abitazioni per ricevere quel milione finale.”
C’era qualcosa di decisamente compiaciuto nel lento sorriso che le rivolse. “Nessun problema, tesoro.”
Mentre tornavano indietro in macchina Sascha realizzò che era il primo accordo d’affari tra Psy e mutaforma di cui fosse mai venuta a conoscenza che prevedeva la spartizione a metà dei profitti. Non ne era preoccupata, perché il suo istinto le diceva che sarebbe stato un buon affare. Meglio non pensare che la parola “istinto” l’avrebbe potuta portare alla lobotomia chimica.

***
Lucas era sempre più frustrato. Non solo Sascha rifiutava di rivelare alcunché di utile, ma continuava a cogliere minimi elementi che nessuno Psy avrebbe dovuto essere in grado di captare. E peggio ancora, Lucas doveva combattere l’istinto di insegnarle, mentre avrebbe dovuto impegnarsi per interrogarla cautamente.
“Riguardo a questo?” Le mostrò un’altra riga della bozza di contratto. Erano seduti nel suo ufficio all’ultimo piano dell’edificio che apparteneva a DarkRiver. L’aveva sistemata in un ufficio alla porta accanto. Era una situazione perfetta. Se lei avesse parlato.
Sascha studiò il foglio e poi lo fece scivolare indietro verso di lui, sulla scrivania di legno scuro. “Se cambiate l’espressione “a riguardo di” con “nei confronti di”, mi riterrò soddisfatta.”
Lucas ponderò la modifica. “D’accordo. Gli SnowDancer non ti attaccheranno per questo.”
“Ma mi attaccheranno per altro?”
“Non se l’accordo è equo.” Si domandò se una Psy avrebbe potuto capire il significato dell’integrità. “Si fidano di me e io dirò loro la verità. Finché non tentate di fare qualcosa di nascosto, terranno fede alla parola data.”
“E la parola di un mutaforma è degna di fiducia?”
“Probabilmente un bel po’ più di quella di uno Psy.” La sua mascella si contrasse al pensiero al modo moralistico in cui gli Psy si dichiaravano privi di rabbia e violenza, quando era dannatamente evidente il contrario.
“Hai ragione. Prevaricazioni sottili sono considerate un efficace strumento di contrattazione nel mio mondo.”
Rimase allibito quando lei riconobbe la verità della sua osservazione. “Solo sottili?”
“Forse qualcuna va anche più in là.”
Cera una sorta di immobilità in lei che gli faceva venir voglia di coprire lo spazio che li separava e  accarezzarla. Forse con il tocco avrebbe ottenuto ciò che le parole non riuscivano a fare. “Chi punisce quelli che vanno oltre?”
“Il Consiglio.” L’asserzione era assoluta.
“E che succede se il Consiglio si sbaglia?”
I loro occhi si incontrarono, quelli di lei sicuri e misteriosamente belli. “Sanno tutto ciò che percorre la RetePsy. Come potrebbero sbagliarsi?”
Lui ne dedusse che non tutti erano al corrente dei segreti della Rete. “Ma se nessun altro ha accesso a tutte le informazioni, loro a chi devono rendere conto?”
“A chi devi rendere conto tu?” lei domandò invece di rispondere. “Chi punisce gli alfa?”
Avrebbe voluto essere dall’altra parte della scrivania e poterla toccare, per sapere se gli stava ribattendo o se cercava solo di essere concreta. “Se infrango la legge del Branco, le sentinelle mi deporranno. Chi può deporre il Consiglio?”
Pensava che lei non avrebbe risposto, ma poi disse: “Loro sono il Consiglio. Sono al di sopra della legge.”
Lucas si chiese se Sascha si rendesse conto di quello che aveva appena ammesso. E soprattutto, voleva sapere se e quanto a lei importasse. E questa era davvero pazzia, perché l’unica cosa che importava agli Psy era la fredda sterilità delle loro vite. Eppure, ogni suo istinto gli diceva che Sascha era diversa.
Doveva scoprire la verità su di lei prima di fare qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. E il modo migliore per spezzare quell’impenetrabile scudo Psy era strapparla dalla sicurezza del mondo che conosceva e gettarla tra le fiamme. “Che ne dici di pranzare?”
“Possiamo rincontrarci tra un’ora,” iniziò lei.
“Era un invito, tesoro.” Aveva aggiunto il vezzeggiativo per stuzzicarla. L’ultima volta lei aveva reagito e voleva vedere se avrebbe avuto un’altra svista.  “O hai un appuntamento galante?”
“Gli Psy non si danno appuntamenti galanti. E accetto l’invito.” Nessuna reazione evidente, ma lui percepì un guizzo di collera.
Rimase fermo, mentre la soddisfazione gli percorreva le vene – la trappola era scattata. “Andiamo a saziare la nostra fame.”
Quegli occhi leggermente inclinati sembrarono spalancarsi, ma poi lei batté le palpebre e l’impressione sparì. Stava ingannando se stesso, immaginando emozioni in una di quegli spietati Psy solo perché si sentiva attratto da lei? Dormire con il nemico non faceva parte del piano. Sfortunatamente, la sua metà pantera era sempre riuscita a mandare a monte i piani meglio architettati, ogniqualvolta bramava un assaggio di qualcosa…o qualcuno.

Quasi quaranta minuti dopo, Sascha discese dall’auto di Lucas davanti a quella che lui le aveva detto essere la casa di una compagna di branco. Situata in una zona periferica, con le abitazioni che gradualmente lasciavano il posto a margini striscianti di foresta, la casa si trovava in posizione isolata, alla fine di una lunga strada, con il bosco sul retro. Si sentì insicura e fuori posto. Nessuno le aveva mai insegnato come comportarsi in una simile situazione…semplicemente perché gli Psy normalmente non erano invitati nelle case dei mutaforma. “Sei sicuro che la tua compagna di branco non ne avrà fastidio?”.
“A Tammy piace la compagnia,” le assicurò lui. Il suo veloce bussare ricevette subito la risposta di una voce dall’interno e lui oltrepassò l’ingresso senza esitazioni.
Seguendolo, si ritrovò all’ingresso di un’ampia stanza che sembrava cucina e sala da pranzo insieme. Un tavolo rettangolare con sei sedie si trovava alla sua destra. Mostrava un gran numero di graffi e scalfiture, che lei pensò potessero essere stati causati da artigli negligenti. Anche le gambe sottili del tavolo erano scalfite allo stesso modo.
Il tavolo e le sedie si trovavano su un pavimento di legno lucido coperto da un tappeto colorato che non riusciva a nascondere la quantità di scalfiture che lo percorrevano. In gran parte i graffi erano sottili e con poco spazio tra l’uno e l’altro, decisamente troppo piccoli per essere stati fatti da zampe di leopardo. Rendevano perplessa la sua analitica mente Psy.
“Lucas!” Una donna bellissima con capelli di uno splendido castano venne verso di loro da dietro il piano di lavoro.
 Lucas le andò incontro al centro della stanza. “Tamsyn.” Chinandosi verso di lei, sfiorò le labbra di lei con le proprie. La donna lo trattenne un attimo prima di farsi indietro.
Sascha rimase sconvolta per la sensazione dolorosa che la prese alla bocca dello stomaco di fronte a un’espressione d’affetto tanto intima e disinvolta. Dato che era stata addestrata a riconoscere le emozioni in modo da poterle annullare, identificò questa come pura gelosia. Era caratterizzata da rabbia e possessività e faceva diventare le persone estremamente vulnerabili. Lo scopo dell’addestramento era stato insegnarle come approfittare delle debolezze di mutaforma e umani, ma lei aveva usato quelle informazioni soprattutto per mascherare e nascondere i propri difetti.
“Chi ci hai portato in visita?” La brunetta camminò verso di lei. “Ciao. Io sono Tamsyn.” Fece per protendere una mano, ma poi si bloccò, probabilmente ricordando l’avversione al tocco che caratterizzava gli Psy.
“Io sono Sascha Duncan”. Oltre la spalla di Tamsyn, incontrò lo sguardo di Lucas. La stava osservando in una maniera così diretta che la turbava. Dovette sforzarsi per tornare a guardare Tamsyn.
“Avanti,” disse la donna. “Ho appena preparato dei biscotti al cioccolato buonissimi. Potete avere l’onore del primo assaggio, prima che il resto del branco ne senta l’odore da fuori. Giuro che Kit e gli altri giovani sembrano sempre sapere quando preparo i biscotti.” Ritornò dall’altra parte del banco da lavoro. Mentre passava vicino a Lucas, lui le accarezzò una guancia con le nocche di una mano, e lei con gentilezza la protese verso di lui.
Privilegio di pelle.
Amici, amanti e branco.
“E’ la tua compagna?” Sascha si avvicinò fino a essere a fianco di Lucas, cercando di non digrignare i denti per la gelosia che le ribolliva in corpo.
Tamsyn si mise a ridere, facendo trasalire Sascha. Aveva dimenticato che i mutaforma avevano un udito molto migliore degli Psy. “Santo cielo, no. Ti prego di non dire una cosa del genere quando c’è Nate – potrebbe decidere di sfidare Lucas a duello o qualche altra cosa ugualmente arcaica e dettata dal testosterone.”
“Mi scuso,” disse a Tamsyn , ben consapevole dell’acuto interesse negli occhi di Lucas. “Devo aver frainteso.”
La donna aggrottò le sopracciglia. “Che cosa?”
Fu Lucas a rispondere. “Ci siamo baciati. Ci siamo toccati.”
“Oh, quello!” Tamsyn tirò fuori un piatto da sotto il banco e lo mise al di sopra di esso. “E’ solo una forma di saluto tra membri dello stesso branco.”
Sascha si chiese se fossero consapevoli di quant’erano fortunati. Potevano esprimere emozioni così intense senza la paura di essere rinchiusi e riabilitati. Una parte di lei voleva rivelare loro che anche desiderava toccare e essere toccata, che l’anelava talmente tanto che si sentiva morire di fame. Ma sapeva che era la pazzia a parlare. I mutaforma disprezzavano gli Psy. Se anche avessero simpatizzato con lei in qualche modo, che cosa avrebbero potuto fare? Niente. Nessuno era mai riuscito a opporsi alla potenza della RetePsy – l’unico modo di uscirne era la morte.
“Vieni.” Tamsyn le fece un cenno. “Fanno morire di piacere...”
Sscha non aveva mai pensato che un cibo potesse far morire di piacere. Curiosa, si avvicinò e prese un biscotto al cioccolato. Era una sostanza dolce adorata da umani e mutaforma. Il piano di nutrimento degli Psy non ne prevedeva l’utilizzo, dato che il cioccolato non aveva valore nutritivo che non potesse essere apportato da altri cibi più sani.
“Lo stai guardando come se non avessi mai assaggiato del cioccolato.” Lucas si mise di fianco a lei. Il divertimento sul suo volto era ovvio e lampante.
Sascha sentì il desiderio di sfiorare con le dita le sue cicatrici, scoprire se fossero morbide o dure, sensibili al tocco oppure no. “No, infatti.” Cercò di concentrarsi sul biscotto invece che sul calore che sentiva provenire dalla pelle di Lucas. Ora che si era tolto la giacca, poteva vedere anche troppo di quel corpo virile dalla pelle abbronzata.
Tamsyn spalancò gli occhi. “Oh, poveretta. Sei stata proprio privata di una gioia della vita.”
“Ho ricevuto nutrimento adeguato ogni giorno della mia vita.” Si sentiva in dovere di difendere la sua gente, sebbene sapesse che loro l’avrebbero scaricata all’istante se avessero saputo del suo difetto.
“Nutrimento?” Lucas scosse la testa, e i neri capelli gli scivolarono sopra le spalle muscolose. “Tu mangi per poter funzionare?” Divorò un biscotto in due morsi. “Tesoro, quella non è vita.” Una risata gli balenò nello sguardo, ma c’era qualcosa d più, di intenso e caldo, che le sussurrava che lui avrebbe potuto mostrarle che cos’era la vita vera.
Soffocò la fiammata improvvisa di desiderio che rischiava di mandare in frantumi il suo controllo. Lucas Hunter era una forza della natura. E una folle parte di lei voleva prenderne un assaggio per vedere se il suo sapore era così buono come sembrava.
“Su,” la incitò Tamsyn, facendola tornare alla realtà al momento giusto. “Assaggiane uno prima che Lucas faccia piazza pulita. Non è mica veleno.”
Sascha diede un cauto morsetto. Mille sensazioni la invasero. Dovette impegnarsi al massimo per non urlare. Non si stupiva che nel passato la Chiesa avesse visto nel cioccolato una tentazione mandata dal demonio. Trattenendosi, mentre invece avrebbe voluto afferrare tutto il piatto, lo finì con calma, poi disse: “Ha un sapore insolito.”
“Ma ti piace? Le chiese Tamsyn.
Prima che potesse rispondere, lo fece Lucas. “Per gli psy non ha senso dire “mi piace” o “non mi piace”, vero, Sascha?”
“No.” No, se erano normali. Si chiese se avrebbero notato se prendeva un altro biscotto. “Le cose possono essere utili o no. I gusti personali o il piacere non c’entrano nulla.”
“Tieni.” Lucas avvicinò un altro biscotto alle sue labbra. “Forse il cioccolato potrà farti cambiare idea.” Nella giocosa curva delle sue labbra aleggiava pura tentazione.
Sascha non era così forte da resistere. “Siccome non abbiamo pranzato, potrà provvedere alle calorie necessarie.”
“Lucas! Hai di nuovo passato l’ora di pranzo a lavorare? Sedetevi tutti e due!” Tamsyn indicò il tavolo. “Nessuno se ne va dalla mia cucina ancora affamato.”
Sascha era confusa dalla gerarchia tra le persone nella stanza. “Pensavo che Lucas fosse il tuo alfa.”
 Lucas sogghignò. “Certo, però qui siamo nella cucina di Tamsyn. Sediamoci prima che ci tiri un piatto.” Avanzò verso il tavolo. “Tammy, lo confesso, sono venuto per scroccare un pasto. Sei la cuoca migliore del mondo.”
“Piantala con le sviolinate, Lucas.” Il suo sorriso smentiva le brusche parole.
Sascha cercò di finire il biscotto in calmi morsi tranquilli invece che divorarlo, come avrebbe voluto. Doveva assolutamente procurarsi del cioccolato e nasconderlo in casa. Era la prima volta che trovava qualcosa di relativamente sicuro con cui viziare i suoi sensi. Un piccolo peccato in più era poca cosa in una vita condotta nel segreto e nella falsità dacché ricordava.
Si erano appena seduti quando due cuccioli di leopardo arrivarono di corsa nella stanza. Allibita, Sascha li osservò scivolare sul legno lucido del pavimento prima di rimanere impigliati nel tappeto. Parecchie scalfiture lunghe e sottili furono lasciate al loro passaggio.
“Roman! Julian!” Tamsyn si avvicinò e li prese per la collottola. “Perché non pensate a quello che fate?” Due faccine imbarazzate di leopardi si volsero a guardarla. L’attenzione di Sascha fu affascinata dai miagolii che provenivano dalle loro gole, simili a quelli di gattini.
Tamsyn rise. “Ruffiani! Lo sapet: non si corre in casa! Questa settimana mi avete già distrutto due vasi.”
I cuccioli si dimenarono. “Qui.” Li sistemò sul tavolo. “Le spiegazioni datele a vostro zio Lucas.”
I cuccioli appoggiarono le testoline alle zampe e guardarono Lucas di sotto in su, come se fossero in attesa del suo giudizio. Sascha avrebbe voluto affondare le dita nella pelliccia soffice e liscia di quello che le era più vicino e accarezzarlo. Erano così belli, con gli occhi di un vivace verde oro che l’avevano ammaliata.
Quasi balzò dalla sedia quando Lucas ringhiò di fianco a lei, un sordo brontolio che proveniva da una gola umana, ma era assolutamente ferino. I cuccioli saltarono su e ringhiarono a loro volta. Lucas rise. “Che paura, vero?” I suoi occhi la invitavano a condividere il divertimento.
Lei non poté resistere. “Feroci.”
Uno dei cuccioli si mise proprio di fronte a lei, così vicino che quasi i loro nasi si toccavano. Sascha ne ammirò gli occhi. Allora il piccolo aprì la bocca e fece un ringhio da cucciolo verso di lei. Una risata si arrotolava nella gola di Sascha. Come si poteva rimanere indifferenti davanti a un tale birbone? Ma lei era una Psy e loro non ridevano. E tuttavia si sarebbe permessa di sperimentare almeno un’altra sensazione. Probabilmente non le sarebbe più capitata una simile fortuna.
Allungando la mano, imitò Tamsyn e lo sollevò prendendolo dal dorso del collo. La sua pelliccia era morbida, il suo corpo caldo. Il cucciolo si dimenò e ringhiò, battendole sulle mani, ma con gli artigli ritratti, e Sascha capì che stava giocando con lei. In quel momento, l’altro cucciolo le saltò in grembo e iniziò a scalare il suo corpo.
Sentendosi persa, guardò Lucas. Il divertimento sul volto dell’uomo era evidente. “Non guardare me, tesoro.”
Lei riportò gli occhi sui suoi piccoli compagni di gioco. “Sono una Psy. Potrei trasformarvi in topi.” I cuccioli smisero di dimenarsi. Tirando su quello che era nel suo grembo, li posò entrambi sulla tavola, di fronte a sé, chinando il capo fino alla loro altezza. “Dovete stare molto attenti con gente come me.” Era un avviso sentito. “Non siamo capaci di essere carini.”
Avanzando di corsa sulle piccole zampette, uno dei cuccioli le leccò veloce la punta del naso. Lei ne rimase tanto stupefatta che chiese, senza pensare: “Che cosa significa?”
“Significa che gli piaci.” Lucas le afferrò la treccia. “Ma questo a te non può interessare, giusto?”
“No.” Voleva che smettesse di toccarla. Non perché il suo tocco non le piacesse, ma perché le piaceva troppo. Le faceva desiderare cose che non avrebbe mai potuto avere. Se si desidera per troppo tempo ciò che non si può avere, si inizia a soffrire e stare male. E poi, si muore di fame. 

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