venerdì 21 ottobre 2011

slave to sensation, capitolo 1

Capitolo 1

Sascha Duncan non riusciva a leggere una singola linea del rapporto sullo schermo della sua agenda elettronica portatile. La paura, come nebbia, offuscava la sua vista, isolandola dall’aspetto freddamente efficiente dell’ufficio di sua madre. Anche il suono di Nikita che stava parlando al telefono a malapena riusciva a raggiungere la sua mente paralizzata.
Era terrorizzata.
Quella mattina si era svegliata ritrovandosi raggomitolata nel letto, gemente. Gli Psy normali non gemevano, non mostravano emozioni, non le provavano. Ma Sascha sapeva fin dall’infanzia di non essere normale. Era riuscita a nascondere il suo difetto, la sua incrinatura, per ventisei anni, ma ora le cose stavano andando male. Male, molto male.
La sua mente si stava deteriorando a un ritmo così veloce che lei aveva iniziato a subirne gli effetti fisici conseguenti – spasmi muscolari, tremori, ritmi cardiaci anormali, e lacrime rabbiose al risveglio da sogni che non ricordava. Presto sarebbe stato impossibile celare la sua psiche fratturata.
Se fosse divenuto evidente, se qualcuno se ne fosse accorto, la conseguenza sarebbe stata la sua reclusione al Centro. Certo, nessuno lo chiamava prigione. Il nome era “struttura per la riabilitazione”, ed era per gli Psy il modo estremamente efficiente di eliminare chi era debole.
Quando avessero finito con lei, se fosse stata fortunata sarebbe finita come un bavoso essere ciondolante, senza più alcuna mente. Se non fosse stata fortunata, avrebbe conservato solo i processi mentali per divenire un drone nel vasto mondo imprenditoriale degli Psy, un robot con le funzioni neuronali sufficienti appena a spedire mail o spazzare pavimenti.
Percependo la propria mano che stringeva l’agenda elettronica, tornò alla realtà. Se c’era un posto in cui non poteva crollare, era quello, accanto a sua madre. Nikita Duncan poteva essere del suo stesso sangue, ma era anche parte del Consiglio Psy. Sascha non era sicura che, se la cosa fosse arrivata al loro orecchio, Nikita non l’avrebbe sacrificata pur di salvaguardare il proprio posto nel più potente organo del mondo.
Con ferrea determinazione, iniziò a rinforzare gli scudi psichici che proteggevano i segreti corridoi della sua mente. Era l’unica cosa in cui eccelleva veramente e, quando sua madre terminò la comunicazione telefonica, Sascha esibiva tante emozioni quante ne avrebbe una scultura di ghiaccio.
“Dobbiamo incontrare Lucas Hunter tra dieci minuti. Sei pronta?” Gli occhi a mandorla di Nikita non mostravano che freddo interesse.
“Certo, Madre”. Si sforzò di incontrare quello sguardo diretto senza distogliere il proprio, cercando di non domandarsi se anche il suo fosse così neutro. Era comunque aiutata dal fatto che, a differenza di Nikita, lei aveva gli occhi scuri come la notte di ogni Psy Cardinale – un nero senza fine attraversato da pagliuzze di freddo fuoco bianco.
“Hunter è un mutaforma alfa, quindi non sottovalutarlo. Riesce a pensare come uno Psy.” Nikita si voltò per sollevare lo schermo del proprio computer, un pannello piatto che si alzava dalla superficie della scrivania.
Sascha richiamò i dati più importanti sulla sua agenda. Il computer in miniatura conteneva tutte le informazioni di cui avrebbe potuto aver bisogno durante l’incontro ed era abbastanza compatto da poterlo far scivolare in tasca. Se Lucas Hunter era come i suoi simili, avrebbe portato copie cartacee di tutto.
Secondo le sue informazioni, Hunter era diventato l’alfa dominante nel branco di leopardi di DarkRiver a ventitré anni. Nei dieci anni che erano passati da allora, DarkRiver aveva consolidato la propria influenza su San Francisco e le regioni confinanti tanto da diventare il branco di predatori dominante nell’area. I mutaforma provenienti da fuori, se volevano lavorare, vivere o divertirsi nel territorio di DarkRiver, dovevano prima ricevere un’autorizzazione. Se non la attendevano prima di varcare i confini, veniva applicata la legge territoriale dei mutaforma e la conclusione era violenta.
Ciò che aveva fatto spalancare gli occhi di Sascha alla prima lettura delle informazioni era il fatto che DarkRiver aveva negoziato un patto di non aggressione reciproca con SnowDancer, il branco di lupi che controllava il resto della California. I lupi di SnowDancer, però, erano famosi per la loro ferocia e spietatezza verso chiunque osasse tentare di prendere il potere nel loro territorio, quindi Sascha dubitava dell’immagine civilizzata che DarkRiver voleva dare di sé. Non si sopravviveva ai lupi giocando correttamente.
Un campanello suonò sommessamente.
“Potremmo andare, Madre?” Nulla nel rapporto tra Sasha e Nikita era o era mai stato materno, ma l’etichetta esigeva che Sascha le si rivolgesse attraverso la designazione del rapporto di parentela.
Nikita annuì e si alzò. Era un metro e settanta di grazia femminile. Indossava un completo nero e una camicia bianca, e in tutto appariva la donna di successo che era. Portava i capelli tagliati appena sotto le orecchie, sfumati, che le donavano. Era bella. E letale.
Sascha sapeva che quando camminavano fianco a fianco, come stavano facendo in quel momento, nessuno avrebbe capito che erano madre e figlia. Avevano la stessa altezza, ma la somiglianza finiva lì.
Nikita aveva ereditato i suoi occhi a mandorla, i capelli serici e lisci e la pelle di porcellana dalla madre, che era per metà giapponese. Nel passaggio dei geni a Sascha, era rimasta solo la linea lievemente allungata degli occhi.
Al posto della serica cortina di cangiante nero-blu di Nikita, Sascha aveva capelli di un profondo color ebano che assorbiva la luce come se fosse inchiostro, e dai ricci così selvaggi che ogni mattina era costretta a tirarli indietro e costringerli in una stretta treccia. La sua pelle aveva una tonalità miele scuro piuttosto che avorio, retaggio del suo sconosciuto padre. I dati riguardo alla nascita di Sascha ne indicavano solo la discendenza anglo-indiana. Rimase un poco indietro mentre si avvicinavano alla porta della sala di riunione. Odiava incontrare i mutaforma, ma non per il disprezzo tipico degli Psy per l’emotività dei mutaforma. A lei sembrava sempre che loro sapessero. Che in qualche modo potessero percepire che lei non era come gli altri, lei era fratturata, difettosa.
“Signor Hunter”.
Alzò gli occhi al suono della voce di sua Madre. E si trovò a distanza ravvicinata dall’uomo più pericoloso che avesse mai visto. Non c’era un altro aggettivo per descriverlo. Alto ben più di un metro e ottanta, il suo corpo era come una macchina per combattere, dotato di una forza muscolare vigorosa e asciutta e di elastica potenza.
I capelli neri gli sfioravano le spalle, ma non rendevano tenero il suo aspetto. Al contrario, tutto in lui suggeriva passione sfrenata e l’oscura fame del leopardo sotto la pelle.  Sascha non aveva dubbi: era in presenza di un predatore.
Poi lui voltò la testa e lei vide la parte destra del suo volto. Quattro linee frastagliate, un marchio lasciato dagli artigli di qualche grossa bestia, segnavano la sua pelle dorata. I suoi occhi erano di un verde ipnotico, ma furono quelle cicatrici che catturarono la sua attenzione. Non era mai stata così vicina a un mutaforma Hunter prima di allora.
“Signora Duncan”. La sua voce era bassa e un po’ roca, come se stesse per ringhiare.
 “Questa è mia figlia Sascha. Seguirà lei il progetto”. 
“Piacere di conoscerti, Sascha”. Lui voltò la testa, e i suoi occhi indugiarono su di lei per un secondo più del necessario.
“Altrettanto”. Quell’uomo poteva forse udire il battito frenetico del suo cuore? Era vero che i sensi dei mutaforma erano molto superiori a quelli delle altre razze?
“Prego”. Egli fece loro cenno di accomodarsi al tavolo dal ripiano di vetro e rimase in piedi finché non lo ebbero fatto. Poi scelse di sedersi esattamente di fronte a Sascha.
Lei si sforzò di restituirgli lo sguardo, senza essere ingannata dalla sua cavalleria tanto da abbassare la guardia. Hunter era stato addestrato a riconoscere le prede vulnerabili.
“Abbiamo esaminato la sua proposta”, iniziò Sascha.
“E che cosa ne pensate?” I suoi occhi erano straordinariamente chiari, calmi come l’oceano più profondo. Ma nulla era freddo o pratico in lui, e non c’era niente che smentisse la prima impressione che dava: un essere selvaggio a stento tenuto al guinzaglio.
“Deve sapere che gli accordi d’affari tra Psy e mutaforma raramente funzionano. Priorità differenti”. La voce di Nikita sembrava ancor più inespressiva a confronto con quella di Lucas. Il sorriso con cui lui le rispose era così maliziosamente affascinante che Sascha non riuscì a distogliere lo sguardo. “In questo caso, penso che abbiamo le stesse priorità. A voi serve aiuto per progettare e costruire abitazioni che possano interessare i mutaforma. Io voglio un qualche accesso ai nuovi progetti degli Psy”.
Sascha sapeva che non poteva essere tutto lì. Loro avevano bisogno d lui, ma non lui di loro, dato che il giro d’affari di DarkRiver era abbastanza ampio da rivaleggiare con il loro. Il mondo stava cambiando sotto il naso degli Psy: gli umani e i mutaforma non si accontentavano più di essere al secondo posto. L’arroganza degli Psy impediva loro di vedere i cambiamenti nelle dinamiche di potere.
Sedendo così vicina a quella furia trattenuta che era Lucas Hunter, si meravigliò della cecità dei suoi simili. “Se stringiamo questo accordo, ci aspetteremo lo stesso livello di affidabilità che avremmo se sia il disegno che il lavoro di costruzione fossero Psy”.
Lucas scrutò la glaciale perfezione di Sascha Duncan e desiderò sapere che cosa c’era in lei che lo faceva andare fuori di testa. La belva che c’era in lui stava ringhiando e camminando avanti e indietro nella sua mente, pronta a saltar fuori e avventarsi su di lei per annusare il suo posato abito grigio. “Certo,” rispose, affascinato dalle sottili pagliuzze di luce bianca che andavano e venivano nell’oscurità degli occhi della donna.
Raramente era stato così vicino a uno Psy cardinale. I cardinali erano abbastanza rari e non si mescolavano alla gente comune, dato che riuscivano a occupare le cariche più ambite nel Consiglio Psy  appena raggiunta la maggior età. Sascha era giovane, ma non c’era nulla di ingenuo in lei. Sembrava spietata come il resto della sua specie, come loro insensibile e fredda.
Poteva anche essere complice di un omicidio.
Chiunque di loro poteva esserlo. Per questo DarkRiver aveva pedinato gli Psy di alto livello per mesi, cercando un modo per penetrare le loro difese. Il progetto Duncan era un’opportunità incredibile. Non solo Nikita era una persona influente nel suo campo, era anche membro del gruppo più esclusivo di tutti, il Consiglio Psy. Una volta che Lucas fosse riuscito ad arrivare fino a lì, avrebbe potuto scoprire l’identità dello Psy sadico che aveva rubato la vita di una donna di DarkRiver…e lo avrebbe ammazzato.
Niente pietà. Niente perdono.
Di fronte a lui, Sascha fissò la sua agenda elettronica. “Possiamo offrire sette milioni”.
Avrebbe accettato anche solo un centesimo pur di avere la possibilità di intrufolasi nei corridoi segreti del mondo degli Psy , ma non poteva permettere che avessero alcun sospetto. “Mie signore”. Pronunciò le parole con la sensualità che era parte di lui quanto il suo animale.
La gran parte delle donne, sia mutaforma che umane, avrebbe reagito alla promessa di piacere insita nel suo tono, ma non queste due. “Sappiamo tutti bene che il contratto vale almeno dieci milioni. Non sprechiamo tempo.” Poteva giurare di aver visto un lampo balenare negli occhi nero notte di Sascha, una luce che indicava una sfida accettata. La pantera dentro di lui ruggì piano in risposta.
“Otto. E vogliamo che la nostra autorizzazione sia vincolante per ogni stadio del lavoro dal progetto al termine della costruzione”.
“Dieci”. Mantenne il suo tono dolce e mellifluo, come seta. “La vostra richiesta potrebbe causare ritardi considerevoli. Non posso lavorare bene se devo scarpinare qua ogni volta che decido di fare una modifica di poca importanza.” Forse un numero maggiore di incontri gli avrebbe permesso di reperire più informazioni sulla pista ormai fredda dell’assassino, ma ne dubitava. Nikita non era proprio il tipo da lasciare in giro documenti privati del Consiglio.
“Dateci un momento”. La donna più anziana guardò la più giovane. Gli si rizzarono i sottili peli sulla nuca. Succedeva sempre quando si trovava in presenza di Psy che stavano attivamente facendo uso dei propri poteri. La telepatia era solo uno dei loro tanti talenti e Lucas ammetteva che doveva essere davvero utile durante le transazioni d’affari. Ma le loro capacità li rendevano ciechi. Da tempo i mutaforma avevano imparato come approfittare del senso di superiorità degli Psy.
Circa un minuto dopo, Sascha gli parlò. “E’ importante per noi avere il controllo su ogni stadio dei lavori.”
“Soldi vostri, tempo vostro”. Appoggiò la mano sul tavolo e distese le dita, notando come lei seguisse quel movimento. Interessante. Secondo la sua esperienza, gli Psy non mostravano mai alcuna consapevolezza del linguaggio del corpo. Era come se fossero totalmente cerebrali, serrati nelle loro menti. “Ma se insistete per avere un coinvolgimento così attivo, non potrò più garantire il rispetto della tabella di marcia. In effetti potrei piuttosto garantirvi che non riusciremo affatto a rispettarla”.
“Abbiamo una proposta per superare questo possibile inconveniente.” Gli occhi di cielo notturno incontrarono i suoi.
Lui inarcò un sopraciglio. “Sto ascoltando.” E lo stesso stava facendo la pantera dentro di lui. Sia l’uomo che la belva trovavano Sascha Duncan accattivante in un modo che non riuscivano a spiegarsi. Una parte di lui voleva accarezzarla, una parte di lui voleva morderla.
“Gradiremmo lavorare fianco a fianco a DarkRiver. Perché sia possibile, richiederei di poter usufruire di un ufficio nel vostro stabile.”
Si tese ogni suo nervo. Gli era appena stato accordato l’accesso a uno Psy cardinale ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. “Vuoi starmi incollata al fianco, tesoro? Va bene.” I suoi sensi percepirono un mutamento nell’atmosfera, ma così sottile che sfuggì prima che potesse identificarlo. “Hai l’autorità di approvare le modifiche?”
“Sì. E se anche dovessi consultarmi con mia Madre, non avrei bisogno di allontanarmi per farlo.” Gli stava ricordando che lei era una Psy, membro di una razza che aveva sacrificato la propria umanità tanto tempo prima.
“A che distanza può comunicare un Cardinale?”
“A quella che occorre.”  Lei premette qualche tasto sullo schermo piatto. “Allora ci accordiamo per otto?”
Sorrise con un sogghigno al tentativo di lei di coglierlo di sorpresa, divertito all’astuzia tipicamente felina. “Dieci, o me ne vado e voi dovrete adattarvi a una qualità decisamente inferiore.”
“Lei non è l’unico esperto su ciò che i mutaforma apprezzano”. Inclinò appena un poco la testa in avanti.
“Sì, è vero.” Intrigato da questa Psy che pareva usare il proprio corpo oltre che la propria mente, lui deliberatamente fece lo stesso movimento. “Ma io sono il migliore.”
“Nove.”
Non poteva permettere che gli Psy lo ritenessero debole – loro rispettavano solo forza più fredda e crudele. “Nove, ma con la garanzia di un altro milione se le case andranno tutte vendute prima della fine dei lavori.” 
Un altro silenzio. I peli sulla nuca gli si drizzarono di nuovo. Nella sua mente la belva annusava l’aria come se potesse cogliere i riverberi di energia. Molti mutaforma non erano in grado di percepire le tempeste elettriche che gli psy generavano, ma era un talento che gli risultava utile.
“Siamo d’accordo,” disse Sascha. “Posso supporre che lei abbia delle copie del contratto?”
“Certo”. Aprì un raccoglitore e ne tirò fuori copie dello stesso documento che loro avevano sugli schermi.
Sascha le prese e ne passò una alla propria madre. “Il formato elettronico è molto più conveniente.” 
L’aveva già sentito dire cento volte da cento Psy diversi. I mutaforma non avevano seguito l’ondata tecnologica sia per puro orgoglio, sia per ragioni di sicurezza – loro avevano violato gli archivi informatici Psy per decenni. “Mi piacciono le cose che posso tenere in mano, toccare, e odorare, qualcosa che dia piacere a tutti i miei sensi.”
Era sicuro che lei avrebbe colto l’allusione, ma voleva vedere se avrebbe avuto una qualche reazione. Niente. Sascha Duncan era fredda come ogni Psy che lui aveva incontrato – l’avrebbe dovuta far sciogliere abbastanza da farle rivelare se gli Psy stavano nascondendo un omicida.
Si scoprì stranamente attratto dal pensiero di avere a che fare con questa particolare Psy, anche se fino a quel momento li aveva considerati solo macchine senza sentimenti. In quell’istante lei alzò gli occhi e incontrò il suo sguardo, e la pantera in lui emise un ruggito senza parole.
La caccia era cominciata. E Sascha Duncan era la preda.

Due ore dopo, Sascha entrò nel suo appartamento ed eseguì un controllo mentale su di esso. Niente. L’appartamento era situato nello stesso palazzo del suo ufficio, dotato di un livello di sicurezza eccellente, ma lei aveva utilizzato la sua abilità nel creare scudi per circondare le sue stanze con un ulteriore livello di protezione. Consumava gran parte della sua scarsa forza psichica, ma lei aveva bisogno di un luogo in cui sentirsi al sicuro.
Soddisfatta che non ci fossero brecce negli scudi, controllò in modo sistematico ciascuno dei suoi blocchi interni contro la vastità della RetePsy. Tutto funzionante. Nessuno sarebbe potuto entrare nella sua mente senza che lei lo sapesse.
Solo allora permise a se stessa di crollare sul tappeto azzurro ghiaccio, il colore freddo che la faceva tremare. “Computer. Alza la temperatura di cinque gradi.”
“Richiesta soddisfatta”. La voce non aveva alcuna inflessione, ma c’era da aspettarselo. Non era altro che la risposta meccanica del potente computer che gestiva l’edificio. Le case che avrebbe costruito con Lucas Hunter non avrebbero avuto quel tipo di sistema computerizzato.
Lucas.
Il suo respiro venne fuori con un singulto nel momento in cui concesse alla sua mente di precipitare, come in una cascata, rivivendo tutte le emozioni che aveva dovuto nascondere durante la riunione.
Paura.
Divertimento.
Fame.
Sensualità.
Desiderio.
Bisogno.
Aprendo il fermacapelli della treccia, infilò le mani tra i riccioli liberati, prima di strapparsi via la giacca e gettarla accanto a sé. I seni le facevano male, stretti nelle coppe del reggiseno. Non voleva altro che spogliarsi del tutto e starsene nuda a sfregarsi contro qualcosa di caldo, duro e maschio.
Un gemito le uscì dalla gola mentre chiudeva gli occhi, oscillando avanti e indietro, mentre cercava di controllare le immagini che la sommergevano. Questo non sarebbe dovuto succedere. Non importava quanto lei fosse già di suo lontana da un controllo efficace, non avrebbe dovuto provare qualcosa di così forte, così sessuale. Nel momento in cui lo ammise, la valanga sembrò rallentare e lei trovò la forza per aprirsi una strada fuori dalla stretta del desiderio che la attanagliava.
Rialzandosi, andò nella cucinetta e si versò un bicchier d’acqua. Mentre beveva, colse il proprio riflesso nello specchio ornamentale che era appeso di fianco al frigorifero incassato al muro. Era stato un regalo da parte di un mutaforma che era stato loro consulente fiscale per un altro investimento e lei lo aveva tenuto nonostante il sopracciglio alzato di sua madre. Aveva addotto come scusa il fatto di voler cercare di capire l’altra razza. In verità, era solo che le piaceva la cornice, ricca di colori selvaggiamente vivaci.
In quel momento avrebbe preferito non averlo tenuto. Lo specchio mostrava troppo chiaramente ciò che lei non voleva vedere. Il nero avvilupparsi dei suoi capelli parlava di passione sfrenata e di desiderio, cose di cui uno Psy non avrebbe dovuto sapere nulla. Il suo volto era arrossato come per la febbre, le guance infiammate, e i suoi occhi…Che Dio avesse pietà, i suoi occhi erano pura mezzanotte.
Mise giù il bicchiere e si tirò indietro i capelli, cercando. Ma non si era sbagliata. Non c’era un frammento di luce nel nero dei suoi occhi. Si supponeva che questo succedesse solo quando uno Psy stava impiegando una parte considerevole del proprio potere psichico.
A lei non era mai accaduto.
Gli occhi la designavano come cardinale, ma i suoi poteri manifesti erano tanto deboli da essere umilianti. Così deboli che lei non era neanche stata chiamata a far parte dei ranghi di coloro che lavoravano direttamente per il Consiglio.
La sua mancanza di qualsiasi reale potere psichico aveva sempre confuso gli istruttori che l’avevano addestrata. Tutti avevano detto che c’era un incredibile potere grezzo nella sua mente – anche più di quello necessario per essere Cardinali – ma che non si manifestava.
Fino a ora.
Scosse la testa. No. Non aveva speso energie psichiche, quindi doveva essere stato qualcos’altro a causare l’oscurità nei suoi occhi, qualcosa di cui gli altri Psy non erano a conoscenza perché non provavano sentimenti. I suoi occhi corsero alla consolle di comunicazione nel muro di fianco alla cucinetta. Una cosa era certa – non poteva uscire conciata in questo modo. Se l’avessero vista l’avrebbero mandata di corsa alla riabilitazione.
La paura la artigliò.
Finché ne era fuori, poteva immaginare che un giorno sarebbe riuscita a fuggire, avrebbe trovato un modo per troncare la sua connessione con la RetePsy senza andare incontro alla paralisi o alla morte. O avrebbe potuto scoprire un modo per sistemare l’anomalia di cui era portatrice. Ma nell’istante in cui fosse entrata nel Centro, il suo mondo sarebbe diventato l’oscurità. Infinita, tacita oscurità.
Con mani attente, tolse la copertura dalla consolle di comunicazione e trafficò con i circuiti. Solo dopo aver risistemato la copertura premette il codice di Nikita. Sua madre viveva nello stesso edificio, alcuni piani più in alto.
La risposta arrivò alcuni secondi dopo. “Sascha, il tuo schermo è spento.”
“Non me ne ero accorta,” mentì lei. “Un attimo”. Facendo una pausa adatta allo scopo, emise un respiro attento. “Penso che abbia un guasto di funzionamento. Chiamerò il tecnico.”
“Il motivo di questa chiamata?”
“Sono spiacente, ma devo disdire l’appuntamento per cena. Ho ricevuto da Lucas Hunter alcuni documenti di cui vorrei finire l’analisi, prima di incontrarlo nuovamente”.
“Veloce per essere un mutaforma. Ti vedrò domani pomeriggio per essere aggiornata. Buonanotte.”
“Buonanotte, Madre.” Parlava a vuoto. Anche se Nikita era stata una madre per lei quanto i computer che controllavano il suo appartamento, faceva male. Ma quella notte il dolore era superato da emozioni molto più pericolose.
Aveva appena iniziato a rilassarsi quando si accorse che la consolle segnalava una chiamata in arrivo. Siccome l’identificatore di chiamata si disconnetteva insieme allo schermo, non aveva modo di sapere chi fosse. “Sascha Duncan”, rispose, cercando di non farsi prendere dal panico al pensiero che Nikita avesse cambiato idea.
“Ciao, Sascha.”
Le ginocchia quasi le cedettero al suono di quella voce dolce come il miele, in quel momento molto più vicina alle fusa che al ringhiare.
“Signor Hunter”.
“Lucas. Dopo tutto, lavoriamo insieme.”
“Perché la chiamata?” Rimanere sul versante strettamente pratico era l’unico modo per affrontare le montagne russe delle sue emozioni.
“Non ti vedo, Sascha.”
“E’ un malfunzionamento dello schermo.”
“Non molto efficiente.” Era divertimento ciò che udiva nella voce di Hunter?
“Suppongo che non abbia chiamato per chiacchierare.”
“Domani per colazione ci riuniamo con gli architetti e vorrei invitarti.” Il suo tono era seta pura.
Sascha non sapeva se le parole di Lucas sembrassero sempre un invito al peccato o se lo facesse apposta per metterla in imbarazzo. Quel pensiero la turbò. Se lui anche solo sospettava che lei non fosse perfettamente a posto, Sascha poteva benissimo già firmare il proprio certificato di morte. L’internamento al Centro era una morte vivente.
“A che ora?” Si strinse le braccia al corpo e forzò la propria voce perché sembrasse normale. Ogni Psy era molto, molto attento a far sì che nessuno mai vedesse un suo singolo errore, una singola debolezza. Nessuno l’aveva spuntata con il Consiglio dopo essere stato indicato per la riabilitazione.
“Sette e mezzo. Può andare bene per te?”
Come riusciva a far sembrare che un semplice invito a un incontro d’affari improvvisamente suonasse come la più sfrenata delle tentazioni? Come ci riusciva? Forse era tutto nella sua testa – stava veramente crollando a pezzi. “Il luogo?”
“Il mio ufficio. Sai dov’è?”
 “Certo.” DarkRiver aveva stabilito la propria sede per gli affari vicino al caotico quartiere di Chinatown, occupando uno stabile di media grandezza. “Ci sarò.”
“Ti aspetterò.”
Ai suoi sensi sovreccitati sembrò più una minaccia che una promessa.

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