In inglese decadent e decadence hanno avuto uno slittamento di significato rispetto a quello che era anche solo pochi anni fa.
Se decadent significava decadente, in particolare riferito alla corrente letteraria dallo stesso nome, decadence corrispondeva a decadentismo, o a decadenza. Che cosa significavano?
DECADENTE: "che è in fase di declino o disgregazione, per la perdita progressiva di vitalità e efficienza", oppure "relativo al decadentismo" (Devoto-Oli).
DECADENTISMO: "atteggiamento spirituale e artistico affermatosi in reazione al naturalismo, e quindi volto di preferenza a problemi connessi con la vita interiore e con l'esplorazione del subcosciente, presentati attraverso immagini simboliche o inusitate e forme preziose" (Devoto-Oli).
DECADENZA: "progressiva diminuzione di vitalità e efficienza", o "periodo di involuzione o di esaurimento", o "perdita della nobiltà per mancato pagamento dei relativi tributi", o "istituto giuridico per cui un diritto, trascorso il tempo in cui può essere esercitato, si estingue" (Devoto-Oli).
ORA, mi pare evidente che la parola abbia subìto un mutamento nell'inglese americano contemporaneo.
Esempi. Slave of sensation di Nalini Singh: Tamsyn dice a Sascha che ha cucinato dei biscotti DECADENTI. Chiaramente non intende nessuno dei significati di cui sopra. Il bacio della notte di Sherrilyn Kenyon: Cassandra vede Wulf e asserisce che l'espressione del suo volto le dice...DECADENZA, e rimane "bramosa di desiderio".
E' EVIDENTE CHE IL SIGNIFICATO E' CAMBIATO!
Che cosa significherà, dunque?
Ora, pensiamo ai poeti del Decadentismo: D'Annunzio, Pascoli, ma soprattutto Verlaine e Mallarmé. Sfoglio la Storia intertestuale della letteratura italiana di Angelo Marchese, ed ecco quel che trovo sul decadentismo. Il termine nasce con intenti polemici e accezione negativa; il movimento è caratterizzato da un pensiero antipositivista; ha due linee poetiche principali: l'estetismo e il simbolismo; edonismo estetico; senso della crisi e della fine di una civiltà e insicurezza; Paul Verlaine: "Sono l'impero alla fine della decadenza/che guarda passare i grandi barbari bianchi/ componendo indolenti acrostici/ in uno stile dorato in cui danza il languore del sole..."...Ci siamo, le parole "indolenti" e "languore" sono risolutive. Se poi continuiamo: artisti contrassegnati nella vita e nell'opera dalla nota perversa del maledettismo (e riferimento ai pittori preraffaelliti in Inghilterra); esasperato e artefatto estetismo; arte raffinata ed elitaria; interiorizzazione sofferta della diversità esistenziale e spirituale del poeta rispetto al contesto; rifugio nell'universo del sogno, del fantastico e del visionario; rifiuto del banale realismo alla ricerca di più segrete corrispondenze fra le cose, di suggestive trame musicali capaci di evocare il mistero, l'al di là dell'oggetto; l'importanza delle verità interne che, una volta scoperte, non si possono negare; il cupio dissolvi; l'alternativa radicale della bellezza e della poesia pura, il culto delle sensazioni e dei piaceri raffinati...TROVATO! E' evidente che QUESTO è il biscotto al cioccolato che Tamsyn porge a Sascha e che lei mangerà davanti agli occhi di Lucas, e questo è l'aspetto di Wulf agli occhi di Cassandra: un piacere proibito, tentatore, che porterà alla luce quello che veramente c'è dentro l'intimo della persona, una sensazione straordinaria di essere di fronte a qualcosa di così radicalmente bello e intenso che ti cambia la vita. Immaginate un quadro di un pittore pre-raffaellita, con una sensualità misteriosa e coinvolgente, che richiama un'interiorità così profonda da confondersi con il mistero: ecco, decadence è questo.
QUINDI: tradurre con "decadente" o "decadenza" NON HA ALCUN SENSO.
MOLTO MEGLIO: misteriosamente affascinante, straordinariamente attraente, peccaminosamente allettante...
Per esempio, riprendiamo la frase della Kenyon. "Chiudendo gli occhi, lo vide in piedi nell'aria fredda, con indosso una lunga giacca di pelle e sul volto un'espressione che diceva...Decadenza." Bu! Perfetto esempio di come far perdere il romanticismo e il climax della frase. Sostituiamo "decadenza" con "fascino pericoloso" o "bellezza proibita" o "suprema tentazione" o "allettante e misterioso fascino".
Buon lavoro!
A ulteriore aiuto e chiarificazione, ecco delle immagini che potrebbero essere definite "decadent".
sabato 29 ottobre 2011
decadent/decadence
Etichette:
decadence,
decadent,
italiano,
traduzione
venerdì 28 ottobre 2011
è traduzione mia!
Cari lettori,
si recupera in rete, non solo qui, la mia traduzione dei primi due capitoli di Slave to sensation. E' un documento originato da splinder, non so bene in che modo, peccato che non riporti né la fonte né tanto meno il nome del mio blog.
Vi invito comunque a lasciare i vostri pareri sulle traduzioni.
Un saluto a tutti
TpM
si recupera in rete, non solo qui, la mia traduzione dei primi due capitoli di Slave to sensation. E' un documento originato da splinder, non so bene in che modo, peccato che non riporti né la fonte né tanto meno il nome del mio blog.
Vi invito comunque a lasciare i vostri pareri sulle traduzioni.
Un saluto a tutti
TpM
giovedì 27 ottobre 2011
Slave to sensation, capitolo 3
Capitolo 3
“Non ne hai il diritto.”
Ridendo piano, fece scorrere la propria mano lungo la treccia, lasciandola. Non appena ebbe ritirato la mano, Sascha si allontanò. Il momento di giocare era finito. “Ho scelto questo luogo,” disse, rispondendo alla domanda che lei aveva posto prima, “a motivo della sua vicinanza alla natura. Anche se molti mutaforma conducono una vita civilizzata, siamo sia umani che animali, e l’esigenza di percorrere terre selvagge l’abbiamo nel sangue.”
“Quando pensi a te stesso, come ti vedi?” chiese lei. “Uomo o animale?”
“Entrambe le cose.”
“Ma uno deve essere predominante.” Una ruga di concentrazione segnò la perfezione del suo volto.
Una ruga d’espressione? Su una Psy? Era sparita l’attimo seguente, ma lui l’aveva notata. “No. Siamo una sola cosa. Io sono una pantera tanto quanto sono un essere umano.”
“Pensavo fossi un leopardo.”
“Le pantere nere esistono in parecchie famiglie di felini. E’ il colore della nostra pelliccia che ci rende pantere, non la nostra specie.” Non era sorpreso che lei non lo sapesse. Per gli Psy i mutaforma erano tutti uguali, tutti animali. Questo era il loro errore. Un lupo non era un leopardo, un’aquila non era un cigno.
E una pantera a caccia era pericolo e furia uniti in un solo essere.
Sascha guardò Lucas che tornava alla macchina per prendere il cellulare e telefonare agli SnowDancer. Protetta dal fatto che fosse voltato, permise a se stessa di apprezzare la sua perfetta bellezza virile. Era semplicemente…seducente. Non aveva mai usato quell’aggettivo prima d’allora, non aveva mai trovato qualcosa o qualcuno per cui valesse la pena usarlo. Ma per Lucas Hunter era la definizione giusta.
A differenza del freddo formalismo degli uomini Psy, lui era ironico e alla mano. E questo lo rendeva solo ancora più pericoloso. Sascha aveva intravisto il predatore che si celava sotto la superficie – Lucas poteva anche giocare pulito, ma se fosse arrivato il momento di mordere, avrebbe puntato alla gola. Nessuno diventava alfa di predatori così giovane se non era al vertice della catena alimentare.
Non ne era spaventata. Forse perché aveva già provato il puro terrore nel labirinto della RetePsy, dove c’erano cose talmente malvagie e vili che, a confronto, la natura apertamente predatrice di Lucas era come una boccata d’aria fresca. Poteva aver cercato di affascinarla, ma non aveva mai preteso di essere altro che ciò che era – un cacciatore fin nel profondo, un predatore dentro e fuori, un uomo sensuale ben consapevole della propria carica erotica.
Lucas le faceva provare desideri ardenti, emozioni crude e selvagge che rischiavano di spezzare la maschera di freddezza Psy che indossava per sopravvivere, una maschera sempre più fragile di giorno in giorno. Avrebbe dovuto scappare via da lui il più lontano possibile. E invece, si trovò a camminare verso di lui mentre egli tornava indietro, con un argenteo e sottile strumento, estremamente più evoluto dell’invenzione di Bell, premuto all’orecchio.
“Venderanno per dodici milioni.” Si fermò a qualche passo da lei e indicò che la connessione era attiva.
“E’ il doppio di quanto questa terra può valere sul mercato.” Non si sarebbe fatta tiranneggiare. “Offro sei e mezzo.”
Lucas accostò il telefono all’orecchio e quando non ripeté le sue parole, Sascha capì che il membro di SnowDancer all’altro capo le aveva udite. Doveva ricordarsi che, anche se gli Psy si vedevano egoisticamente come i supremi padroni del mondo, i mutaforma avevano alcune capacità di tutto rispetto.
“Dicono che non sono interessati ad arricchire gli Psy. Non gliene può fregare di meno se non la volete. La venderanno volentieri ai vostri rivali.”
Sascha però si era preparata bene. “No che non lo faranno. Il gruppo Ryka-Smythe ha già investito tutti i fondi disponibili in un’altra attività a San Diego.”
“Allora lo lasceranno vuoto. Dodici milioni o lasciano.” Lucas la osservò con uno sguardo intenso in quegli incredibili occhi verdi e Sascha si chiese se lui stesse cercando di scrutare fino in fondo alla sua anima. Avrebbe potuto dirgli che era del tutto inutile. Lei era una Psy, non aveva un’anima.
“Non possiamo affrontare un simile investimento di capitale. Sarebbe impossibile recuperare i costi. Procurateci un altro sito,” disse, impegnandosi per apparire fredda e calma, nonostante l’effetto destabilizzante che aveva la presenza di Lucas accanto a lei.
Questa volta lui dovette ripetere le sue parole al telefono. Dopo aver ascoltato per un momento, le disse: “Non rinunciano all’affare. Ma hanno una controfferta per te.”
“Ascolto.”
“Concederanno la terra in cambio del cinquanta per cento dei profitti e un accordo firmato per cui nessuna delle case sarà venduta a Psy. Vogliono anche clausole su tutti gli atti legali in modo da assicurare che anche i futuri proprietari non possano vendere a Psy.” Scrollò le spalle. “La terra deve rimanere nelle mani di mutaforma o umani.”
Era l’ultima cosa che lei si sarebbe aspettata, e gli occhi di Lucas le dicevano che lo sapeva. E non l’aveva avvertita. Questa constatazione le impose di essere ancora più cauta. Stava forse cercando di strapparle una reazione? “Dammi un attimo. Non è una decisione che io sia autorizzata a prendere autonomamente.”
Allontanandosi un poco, sebbene non fosse strettamente necessario, si collegò alla madre attraverso la RetePsy. Di solito adoperavano un semplice collegamento telepatico, ma Sascha non era abbastanza forte da inviare comunicare a così grande distanza. La palese evidenza della sua debolezza servì a ricordarle di stare in guardia. A differenza degli altri cardinali, lei poteva essere gettata via.
Nikita rispose subito. “Che cosa c’è?” Parte della sua coscienza dialogò con parte della coscienza di Sascha in una stanza mentale chiusa, un luogo a parte nella vastità della RetePsy.
Sascha ripeté l’offerta e aggiunse: “E’ decisamente un luogo ottimale per le necessità dei mutaforma. Con gli SnowDancer che offrono la terra, il nostro investimento è ridotto della metà, perciò la compartecipazione agli utili non significherà altri esborsi. A conti fatti potremmo anche realizzare profitti superiori alle nostre aspettative.”
Nikita fece una pausa prima di rispondere e Sascha capì che stava consultando dei dati. “Quei lupi hanno la brutta abitudine di cercare di spadroneggiare in ogni cosa su cui mettono le zampe.”
Sascha supponeva che molti mutaforma predatori avessero la stessa abitudine. Come Lucas, che aveva cercato di spadroneggiare su di lei e controllarla dal momento in cui le aveva posato gli occhi addosso.
“Non sono effettivamente noti per gli investimenti immobiliari. Ritengo che questa potrebbe semplicemente essere una reazione emotiva in opposizione al permettere che il controllo di una delle loro terre vada in mano agli Psy.”
“Potresti avere ragione.” Un’altra pausa. “Redigi un accordo scritto che spcifichi che noi avremo il controllo su ogni aspetto dei lavori, dalla progettazione alla costruzione, e il controllo sulla vendita. Devono essere un partner silenzioso. Divideremo i profitti, ma nient’altro.”
“E riguardo alla loro richiesta che nessun lotto sia venduto a noi?” Noi. Gli Psy. La gente cui non era mai veramente appartenuta. Ma erano tutto ciò che aveva. “E’ legale secondo le Leggi di Sviluppo Privato.”
“Sei tu a capo di questo progetto. Che ne pensi?”
“Nessuno Psy vorrebbe comunque vivere qui.” La gran parte della sua razza sarebbe stata spaventata da così tanto spazio. Loro preferivano vivere in piccoli appartamenti con perimetri ben definiti. “Non conviene impuntarsi su questo; inoltre non dovremo pagare a Lucas quanto chiede, se non riesce a vendere tutte le case nei tempi stabiliti.”
“Sii sicura che l’abbia ben chiaro.”
“Lo farò.” Qualcosa, in modo viscerale, le diceva che la pantera era molto più avanti di loro. Decisamente Lucas non le aveva fatto l’impressione di essere uno sciocco ingenuo.
“Chiamami se hai qualche problema.”
La presenza di Nikita scintillò via. Quando Sascha tornò da Lucas, lo trovò che si sfregava la nuca come se qualcosa l’avesse irritato. Gli occhi di Sascha seguirono il movimento del suo braccio, catturati dalle linee definite dei muscoli, evidenti anche sotto la giacca di ecopelle. Ogni suo movimento era fluido, pieno di grazia, come le movenze di un grosso felino.
Solo quando lui sollevò una delle sopracciglia lei si rese conto che lo stava fissando. Cercando di contrastare il rossore che le saliva alle guance, disse: “Accettiamo le loro richieste se loro accettano di essere soci silenziosi. E questo significa nessuna pretesa di avere voce in capitolo.”
Abbassò la mano dalla nuca e avvicinò il telefono all’orecchio. “Accettano – redigerò il contratto.” Chiuse il sottile comunicatore.
“Non dimentichiamo che dovrete vendere tutte le abitazioni per ricevere quel milione finale.”
C’era qualcosa di decisamente compiaciuto nel lento sorriso che le rivolse. “Nessun problema, tesoro.”
Mentre tornavano indietro in macchina Sascha realizzò che era il primo accordo d’affari tra Psy e mutaforma di cui fosse mai venuta a conoscenza che prevedeva la spartizione a metà dei profitti. Non ne era preoccupata, perché il suo istinto le diceva che sarebbe stato un buon affare. Meglio non pensare che la parola “istinto” l’avrebbe potuta portare alla lobotomia chimica.
***
Lucas era sempre più frustrato. Non solo Sascha rifiutava di rivelare alcunché di utile, ma continuava a cogliere minimi elementi che nessuno Psy avrebbe dovuto essere in grado di captare. E peggio ancora, Lucas doveva combattere l’istinto di insegnarle, mentre avrebbe dovuto impegnarsi per interrogarla cautamente.
“Riguardo a questo?” Le mostrò un’altra riga della bozza di contratto. Erano seduti nel suo ufficio all’ultimo piano dell’edificio che apparteneva a DarkRiver. L’aveva sistemata in un ufficio alla porta accanto. Era una situazione perfetta. Se lei avesse parlato.
Sascha studiò il foglio e poi lo fece scivolare indietro verso di lui, sulla scrivania di legno scuro. “Se cambiate l’espressione “a riguardo di” con “nei confronti di”, mi riterrò soddisfatta.”
Lucas ponderò la modifica. “D’accordo. Gli SnowDancer non ti attaccheranno per questo.”
“Ma mi attaccheranno per altro?”
“Non se l’accordo è equo.” Si domandò se una Psy avrebbe potuto capire il significato dell’integrità. “Si fidano di me e io dirò loro la verità. Finché non tentate di fare qualcosa di nascosto, terranno fede alla parola data.”
“E la parola di un mutaforma è degna di fiducia?”
“Probabilmente un bel po’ più di quella di uno Psy.” La sua mascella si contrasse al pensiero al modo moralistico in cui gli Psy si dichiaravano privi di rabbia e violenza, quando era dannatamente evidente il contrario.
“Hai ragione. Prevaricazioni sottili sono considerate un efficace strumento di contrattazione nel mio mondo.”
Rimase allibito quando lei riconobbe la verità della sua osservazione. “Solo sottili?”
“Forse qualcuna va anche più in là.”
Cera una sorta di immobilità in lei che gli faceva venir voglia di coprire lo spazio che li separava e accarezzarla. Forse con il tocco avrebbe ottenuto ciò che le parole non riuscivano a fare. “Chi punisce quelli che vanno oltre?”
“Il Consiglio.” L’asserzione era assoluta.
“E che succede se il Consiglio si sbaglia?”
I loro occhi si incontrarono, quelli di lei sicuri e misteriosamente belli. “Sanno tutto ciò che percorre la RetePsy. Come potrebbero sbagliarsi?”
Lui ne dedusse che non tutti erano al corrente dei segreti della Rete. “Ma se nessun altro ha accesso a tutte le informazioni, loro a chi devono rendere conto?”
“A chi devi rendere conto tu?” lei domandò invece di rispondere. “Chi punisce gli alfa?”
Avrebbe voluto essere dall’altra parte della scrivania e poterla toccare, per sapere se gli stava ribattendo o se cercava solo di essere concreta. “Se infrango la legge del Branco, le sentinelle mi deporranno. Chi può deporre il Consiglio?”
Pensava che lei non avrebbe risposto, ma poi disse: “Loro sono il Consiglio. Sono al di sopra della legge.”
Lucas si chiese se Sascha si rendesse conto di quello che aveva appena ammesso. E soprattutto, voleva sapere se e quanto a lei importasse. E questa era davvero pazzia, perché l’unica cosa che importava agli Psy era la fredda sterilità delle loro vite. Eppure, ogni suo istinto gli diceva che Sascha era diversa.
Doveva scoprire la verità su di lei prima di fare qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. E il modo migliore per spezzare quell’impenetrabile scudo Psy era strapparla dalla sicurezza del mondo che conosceva e gettarla tra le fiamme. “Che ne dici di pranzare?”
“Possiamo rincontrarci tra un’ora,” iniziò lei.
“Era un invito, tesoro.” Aveva aggiunto il vezzeggiativo per stuzzicarla. L’ultima volta lei aveva reagito e voleva vedere se avrebbe avuto un’altra svista. “O hai un appuntamento galante?”
“Gli Psy non si danno appuntamenti galanti. E accetto l’invito.” Nessuna reazione evidente, ma lui percepì un guizzo di collera.
Rimase fermo, mentre la soddisfazione gli percorreva le vene – la trappola era scattata. “Andiamo a saziare la nostra fame.”
Quegli occhi leggermente inclinati sembrarono spalancarsi, ma poi lei batté le palpebre e l’impressione sparì. Stava ingannando se stesso, immaginando emozioni in una di quegli spietati Psy solo perché si sentiva attratto da lei? Dormire con il nemico non faceva parte del piano. Sfortunatamente, la sua metà pantera era sempre riuscita a mandare a monte i piani meglio architettati, ogniqualvolta bramava un assaggio di qualcosa…o qualcuno.
Quasi quaranta minuti dopo, Sascha discese dall’auto di Lucas davanti a quella che lui le aveva detto essere la casa di una compagna di branco. Situata in una zona periferica, con le abitazioni che gradualmente lasciavano il posto a margini striscianti di foresta, la casa si trovava in posizione isolata, alla fine di una lunga strada, con il bosco sul retro. Si sentì insicura e fuori posto. Nessuno le aveva mai insegnato come comportarsi in una simile situazione…semplicemente perché gli Psy normalmente non erano invitati nelle case dei mutaforma. “Sei sicuro che la tua compagna di branco non ne avrà fastidio?”.
“A Tammy piace la compagnia,” le assicurò lui. Il suo veloce bussare ricevette subito la risposta di una voce dall’interno e lui oltrepassò l’ingresso senza esitazioni.
Seguendolo, si ritrovò all’ingresso di un’ampia stanza che sembrava cucina e sala da pranzo insieme. Un tavolo rettangolare con sei sedie si trovava alla sua destra. Mostrava un gran numero di graffi e scalfiture, che lei pensò potessero essere stati causati da artigli negligenti. Anche le gambe sottili del tavolo erano scalfite allo stesso modo.
Il tavolo e le sedie si trovavano su un pavimento di legno lucido coperto da un tappeto colorato che non riusciva a nascondere la quantità di scalfiture che lo percorrevano. In gran parte i graffi erano sottili e con poco spazio tra l’uno e l’altro, decisamente troppo piccoli per essere stati fatti da zampe di leopardo. Rendevano perplessa la sua analitica mente Psy.
“Lucas!” Una donna bellissima con capelli di uno splendido castano venne verso di loro da dietro il piano di lavoro.
Lucas le andò incontro al centro della stanza. “Tamsyn.” Chinandosi verso di lei, sfiorò le labbra di lei con le proprie. La donna lo trattenne un attimo prima di farsi indietro.
Sascha rimase sconvolta per la sensazione dolorosa che la prese alla bocca dello stomaco di fronte a un’espressione d’affetto tanto intima e disinvolta. Dato che era stata addestrata a riconoscere le emozioni in modo da poterle annullare, identificò questa come pura gelosia. Era caratterizzata da rabbia e possessività e faceva diventare le persone estremamente vulnerabili. Lo scopo dell’addestramento era stato insegnarle come approfittare delle debolezze di mutaforma e umani, ma lei aveva usato quelle informazioni soprattutto per mascherare e nascondere i propri difetti.
“Chi ci hai portato in visita?” La brunetta camminò verso di lei. “Ciao. Io sono Tamsyn.” Fece per protendere una mano, ma poi si bloccò, probabilmente ricordando l’avversione al tocco che caratterizzava gli Psy.
“Io sono Sascha Duncan”. Oltre la spalla di Tamsyn, incontrò lo sguardo di Lucas. La stava osservando in una maniera così diretta che la turbava. Dovette sforzarsi per tornare a guardare Tamsyn.
“Avanti,” disse la donna. “Ho appena preparato dei biscotti al cioccolato buonissimi. Potete avere l’onore del primo assaggio, prima che il resto del branco ne senta l’odore da fuori. Giuro che Kit e gli altri giovani sembrano sempre sapere quando preparo i biscotti.” Ritornò dall’altra parte del banco da lavoro. Mentre passava vicino a Lucas, lui le accarezzò una guancia con le nocche di una mano, e lei con gentilezza la protese verso di lui.
Privilegio di pelle.
Amici, amanti e branco.
“E’ la tua compagna?” Sascha si avvicinò fino a essere a fianco di Lucas, cercando di non digrignare i denti per la gelosia che le ribolliva in corpo.
Tamsyn si mise a ridere, facendo trasalire Sascha. Aveva dimenticato che i mutaforma avevano un udito molto migliore degli Psy. “Santo cielo, no. Ti prego di non dire una cosa del genere quando c’è Nate – potrebbe decidere di sfidare Lucas a duello o qualche altra cosa ugualmente arcaica e dettata dal testosterone.”
“Mi scuso,” disse a Tamsyn , ben consapevole dell’acuto interesse negli occhi di Lucas. “Devo aver frainteso.”
La donna aggrottò le sopracciglia. “Che cosa?”
Fu Lucas a rispondere. “Ci siamo baciati. Ci siamo toccati.”
“Oh, quello!” Tamsyn tirò fuori un piatto da sotto il banco e lo mise al di sopra di esso. “E’ solo una forma di saluto tra membri dello stesso branco.”
Sascha si chiese se fossero consapevoli di quant’erano fortunati. Potevano esprimere emozioni così intense senza la paura di essere rinchiusi e riabilitati. Una parte di lei voleva rivelare loro che anche desiderava toccare e essere toccata, che l’anelava talmente tanto che si sentiva morire di fame. Ma sapeva che era la pazzia a parlare. I mutaforma disprezzavano gli Psy. Se anche avessero simpatizzato con lei in qualche modo, che cosa avrebbero potuto fare? Niente. Nessuno era mai riuscito a opporsi alla potenza della RetePsy – l’unico modo di uscirne era la morte.
“Vieni.” Tamsyn le fece un cenno. “Fanno morire di piacere...”
Sscha non aveva mai pensato che un cibo potesse far morire di piacere. Curiosa, si avvicinò e prese un biscotto al cioccolato. Era una sostanza dolce adorata da umani e mutaforma. Il piano di nutrimento degli Psy non ne prevedeva l’utilizzo, dato che il cioccolato non aveva valore nutritivo che non potesse essere apportato da altri cibi più sani.
“Lo stai guardando come se non avessi mai assaggiato del cioccolato.” Lucas si mise di fianco a lei. Il divertimento sul suo volto era ovvio e lampante.
Sascha sentì il desiderio di sfiorare con le dita le sue cicatrici, scoprire se fossero morbide o dure, sensibili al tocco oppure no. “No, infatti.” Cercò di concentrarsi sul biscotto invece che sul calore che sentiva provenire dalla pelle di Lucas. Ora che si era tolto la giacca, poteva vedere anche troppo di quel corpo virile dalla pelle abbronzata.
Tamsyn spalancò gli occhi. “Oh, poveretta. Sei stata proprio privata di una gioia della vita.”
“Ho ricevuto nutrimento adeguato ogni giorno della mia vita.” Si sentiva in dovere di difendere la sua gente, sebbene sapesse che loro l’avrebbero scaricata all’istante se avessero saputo del suo difetto.
“Nutrimento?” Lucas scosse la testa, e i neri capelli gli scivolarono sopra le spalle muscolose. “Tu mangi per poter funzionare?” Divorò un biscotto in due morsi. “Tesoro, quella non è vita.” Una risata gli balenò nello sguardo, ma c’era qualcosa d più, di intenso e caldo, che le sussurrava che lui avrebbe potuto mostrarle che cos’era la vita vera.
Soffocò la fiammata improvvisa di desiderio che rischiava di mandare in frantumi il suo controllo. Lucas Hunter era una forza della natura. E una folle parte di lei voleva prenderne un assaggio per vedere se il suo sapore era così buono come sembrava.
“Su,” la incitò Tamsyn, facendola tornare alla realtà al momento giusto. “Assaggiane uno prima che Lucas faccia piazza pulita. Non è mica veleno.”
Sascha diede un cauto morsetto. Mille sensazioni la invasero. Dovette impegnarsi al massimo per non urlare. Non si stupiva che nel passato la Chiesa avesse visto nel cioccolato una tentazione mandata dal demonio. Trattenendosi, mentre invece avrebbe voluto afferrare tutto il piatto, lo finì con calma, poi disse: “Ha un sapore insolito.”
“Ma ti piace? Le chiese Tamsyn.
Prima che potesse rispondere, lo fece Lucas. “Per gli psy non ha senso dire “mi piace” o “non mi piace”, vero, Sascha?”
“No.” No, se erano normali. Si chiese se avrebbero notato se prendeva un altro biscotto. “Le cose possono essere utili o no. I gusti personali o il piacere non c’entrano nulla.”
“Tieni.” Lucas avvicinò un altro biscotto alle sue labbra. “Forse il cioccolato potrà farti cambiare idea.” Nella giocosa curva delle sue labbra aleggiava pura tentazione.
Sascha non era così forte da resistere. “Siccome non abbiamo pranzato, potrà provvedere alle calorie necessarie.”
“Lucas! Hai di nuovo passato l’ora di pranzo a lavorare? Sedetevi tutti e due!” Tamsyn indicò il tavolo. “Nessuno se ne va dalla mia cucina ancora affamato.”
Sascha era confusa dalla gerarchia tra le persone nella stanza. “Pensavo che Lucas fosse il tuo alfa.”
Lucas sogghignò. “Certo, però qui siamo nella cucina di Tamsyn. Sediamoci prima che ci tiri un piatto.” Avanzò verso il tavolo. “Tammy, lo confesso, sono venuto per scroccare un pasto. Sei la cuoca migliore del mondo.”
“Piantala con le sviolinate, Lucas.” Il suo sorriso smentiva le brusche parole.
Sascha cercò di finire il biscotto in calmi morsi tranquilli invece che divorarlo, come avrebbe voluto. Doveva assolutamente procurarsi del cioccolato e nasconderlo in casa. Era la prima volta che trovava qualcosa di relativamente sicuro con cui viziare i suoi sensi. Un piccolo peccato in più era poca cosa in una vita condotta nel segreto e nella falsità dacché ricordava.
Si erano appena seduti quando due cuccioli di leopardo arrivarono di corsa nella stanza. Allibita, Sascha li osservò scivolare sul legno lucido del pavimento prima di rimanere impigliati nel tappeto. Parecchie scalfiture lunghe e sottili furono lasciate al loro passaggio.
“Roman! Julian!” Tamsyn si avvicinò e li prese per la collottola. “Perché non pensate a quello che fate?” Due faccine imbarazzate di leopardi si volsero a guardarla. L’attenzione di Sascha fu affascinata dai miagolii che provenivano dalle loro gole, simili a quelli di gattini.
Tamsyn rise. “Ruffiani! Lo sapet: non si corre in casa! Questa settimana mi avete già distrutto due vasi.”
I cuccioli si dimenarono. “Qui.” Li sistemò sul tavolo. “Le spiegazioni datele a vostro zio Lucas.”
I cuccioli appoggiarono le testoline alle zampe e guardarono Lucas di sotto in su, come se fossero in attesa del suo giudizio. Sascha avrebbe voluto affondare le dita nella pelliccia soffice e liscia di quello che le era più vicino e accarezzarlo. Erano così belli, con gli occhi di un vivace verde oro che l’avevano ammaliata.
Quasi balzò dalla sedia quando Lucas ringhiò di fianco a lei, un sordo brontolio che proveniva da una gola umana, ma era assolutamente ferino. I cuccioli saltarono su e ringhiarono a loro volta. Lucas rise. “Che paura, vero?” I suoi occhi la invitavano a condividere il divertimento.
Lei non poté resistere. “Feroci.”
Uno dei cuccioli si mise proprio di fronte a lei, così vicino che quasi i loro nasi si toccavano. Sascha ne ammirò gli occhi. Allora il piccolo aprì la bocca e fece un ringhio da cucciolo verso di lei. Una risata si arrotolava nella gola di Sascha. Come si poteva rimanere indifferenti davanti a un tale birbone? Ma lei era una Psy e loro non ridevano. E tuttavia si sarebbe permessa di sperimentare almeno un’altra sensazione. Probabilmente non le sarebbe più capitata una simile fortuna.
Allungando la mano, imitò Tamsyn e lo sollevò prendendolo dal dorso del collo. La sua pelliccia era morbida, il suo corpo caldo. Il cucciolo si dimenò e ringhiò, battendole sulle mani, ma con gli artigli ritratti, e Sascha capì che stava giocando con lei. In quel momento, l’altro cucciolo le saltò in grembo e iniziò a scalare il suo corpo.
Sentendosi persa, guardò Lucas. Il divertimento sul volto dell’uomo era evidente. “Non guardare me, tesoro.”
Lei riportò gli occhi sui suoi piccoli compagni di gioco. “Sono una Psy. Potrei trasformarvi in topi.” I cuccioli smisero di dimenarsi. Tirando su quello che era nel suo grembo, li posò entrambi sulla tavola, di fronte a sé, chinando il capo fino alla loro altezza. “Dovete stare molto attenti con gente come me.” Era un avviso sentito. “Non siamo capaci di essere carini.”
Avanzando di corsa sulle piccole zampette, uno dei cuccioli le leccò veloce la punta del naso. Lei ne rimase tanto stupefatta che chiese, senza pensare: “Che cosa significa?”
“Significa che gli piaci.” Lucas le afferrò la treccia. “Ma questo a te non può interessare, giusto?”
“No.” Voleva che smettesse di toccarla. Non perché il suo tocco non le piacesse, ma perché le piaceva troppo. Le faceva desiderare cose che non avrebbe mai potuto avere. Se si desidera per troppo tempo ciò che non si può avere, si inizia a soffrire e stare male. E poi, si muore di fame.
Etichette:
italiano,
nalini singh,
slave to sensation,
sts 3,
traduzione
domenica 23 ottobre 2011
branded by fire - capitolo 1
Capitolo 1
Mercy calciò via dal sentiero davanti a sè un ramoscello secco e non potè trattenere uno sguardo truce. “Stupido bastone.” Certo, non era l’innocuo bastoncino ciò con cui era arrabbiata – quello aveva solo avuto la sfortuna di capitare sulla sua via mentre, con le spalle curve, era fuggita dal Cerchio del Branco e dalla festosa cerimonia per il Legame di coppia di Dorian. Era nauseante quanto il suo miglior amico fosse innamorato della sua compagna. Effettivamente, anche le altre sentinelle avevano iniziato a farla soffocare. “Clay sempre a fare gli occhi dolci a Tally, per non parlare di Luc e Sasha”. E poi c’erano i peggiori, Nate e Tamsyn. Come potevano essere ancora così presi l’uno dall’altro dopo tutti quegli anni! “Dovrebbe essere vietato per legge”, ringhiò. Non voleva neanche pensare a Vaughn e Faith. Decise invece di fare una corsa. Un’ora dopo era penetrata abbastanza in profondità nel territorio del branco da non udire più nulla tranne i cauti sussurri delle creature notturne che si muovevano nell’oscurità. Si sedette sul tronco liscio di un albero caduto e sospirò.
In verità non era arrabbiata con le altre sentinelle né con le loro compagne. Anzi, era così dannatamente felice per tutti loro, che quasi le faceva male. Ma era gelosa, e molto.
Tutti erano in coppia. Tranne lei.
“Sì,” mormorò. “Lo ammetto. Sono un’insopportabile bambina viziata, vecchia per giunta.”
Non era così male essere una femmina dominante tra i mutaforma. In fondo, le femmine alfa erano comuni tanto quanto i maschi alfa. La cosa veramente negativa era essere una femmina dominante in un branco di leopardi in cui nessun maschio dominante smuoveva qualcosa in lei. Ed essere una femmina dominante in uno stato controllato da leopardi e lupi – tra i quali uno solo, quello sbagliato, smuoveva qualcosa in lei – beh, questa era davvero la ciliegina sulla torta della negatività.
Non che Mercy dovesse limitarsi al loro territorio – Dorian le aveva detto di cercare qualcuno fuori dallo stato, negli altri branchi, ma lei non se la sentiva proprio di lasciare Dark River, non in un momento così pericoloso.
Certo le cose si erano calmate un po’ dal fallito attentato alla compagna di Dorian, Ashaya, ma era una calma instabile e precaria. Tutti aspettavano la prossima increspatura sulla superficie delle acque – ciò che non sapevano era se sarebbe venuta dal Consiglio Psy, sospettosamente tranquillo, o dall’Alleanza Umana, sempre più violenta e pericolosa.
Che qualcosa sarebbe successo, era certo.
Come sentinella di DarkRiver, avrebbe dovuto concentrarsi sulle loro tattiche di difesa, immaginando possibili scenari. Invece il bisogno sessuale la stava facendo andare così fuori di testa che non riusciva a pensare ad altro: la febbre che percorreva il suo corpo, la sete nella sua gola, l’artigliante esigenza in ogni sua cellula, in ogni suo respiro. Per il suo animo da predatore un tocco intimo era necessario quanto la foresta che era la sua casa. Tuttavia forse non avrebbe visto tutto così nero se non ci si fosse aggiunta anche la conversazione che aveva avuto con Tamsyn, il medico del branco, qualche giorno prima.
Mercy aveva iniziato dicendo: “E’ molto probabile che rimarrò sola”.
“Non puoi saperlo”, aveva cominciato a dire Tammy, con la fronte aggrottata, “potresti incontr...”
“Non è questo. Potrei non essere in grado di stare con nessuno. Sai che accade.”
Tammy aveva fatto un cenno affermativo, seppur riluttante. “E’ più frequente per le femmine dominanti che per i maschi. C’è come un’incapacità a cedere…a sottomettersi, anche al tuo compagno”.
Questo era il casino, pensava Mercy. Poteva anche volere disperatamente un compagno, ma se lui fosse apparso, e fosse stato il maschio forte, deciso, risoluto di cui sapeva di aver bisogno, forse lei non sarebbe risucita ad accettarlo quanto era necessario per un vero legame di coppia. Oh, probabilmente l’urgenza del legame l’avrebbe sopraffatta tanto da prenderlo come amante, forse di più…ma se il leopardo di Mercy non accettava i diritti del suo compagno su di lei, allora non avrebbe potuto far altro che andarsene via per mesi, tornando da lui solo quando era impossibile sopportare il bisogno.
Era un dolore speciale, riservato a quelle femmine leopardo che non accettavano di permettere a un uomo di controllarle in qualsivoglia modo. E sarebbe andata così, lui avrebbe di sicuro cercato di dominarla. A meno che il suo compagno non si rivelasse un debole sottomesso – e lei non era mai stata attratta da qualcuno di quel tipo, era un’ipotesi irreale.
“Non ho bisogno di un compagno” brontolò, fissando il cerchio lucente della luna d’autunno. “Ma potresti mandarmi un maschio niente male, sexy, forte, con cui danzare? E bello magari?” Non aveva avuto un amante per otto mesi ormai, e questo stava iniziando a nuocerle a ogni livello. “Mica deve essere intelligente. Solo bravo a letto”. Bravo abbastanza da sciogliere la tensione che c’era in lei, permettendole di funzionare ancora.
Perché il sesso, per un felino come Mercy, non riguardava solo il piacere, ma era qualcosa che aveva a che fare con l’affetto, la fiducia, con tutto ciò che era positivo e bello.
“Comunque, adesso mi accontenterei di sesso puro e semplice”.
Fu in quel momento che Riley uscì dalle ombre. “Un po’ di voglia, gattina?”
Subito in piedi, lei strinse gli occhi, sapendo che era stato sottovento apposta, per coglierla di sorpresa. “Che cazzo fai, mi spii di nascosto?”
“Che bisogno c’è di spiare, quando il tuo tono sveglierebbe un morto?”
Avrebbe giurato che le orecchie le stessero fumando dalla rabbia. Tutti pensavano che Riley fosse calmo, pratico, solido, affidabile. Solo lei sapeva che aveva un lato meschino e spregevole e che se la godeva a romperle le scatole il più possibile.
“Cosa vuoi?” Fu un ringhio da parte del leopardo e della donna.
“Sono stato invitato alla cerimonia del legame di Dorian”. Un lento sorriso che la derideva. “Difficile non vedere che stavi andando a fuoco. E non sto parlando dei tuoi capelli”. I suoi occhi indugiarono sulle lunghe ciocche rosse che scendevano ad accarezzare i seni.
Mercy non si imbarazzava facilmente, ma le sue guance andarono in fiamme. Perché se Riley sapeva che lei era in calore – come un dannato gatto selvatico! – lo sapeva anche il resto del suo branco.
“E allora? Mi hai seguito sperando che io abbassi i miei standard e stia con un lupo?” E apposta disse “lupo” con il tono che si riserva di solito a “rettile”.
Riley serrò la mascella, che aveva un’ombra di barba appena più scura del castano profondo dei suoi capelli. “Tiri fuori le unghie, gattina? Fatti sotto.”
Le sue mani si strinsero a pugno. Non era così stronza di solito, ma quel bastardo di Riley riusciva sempre ad esasperarla, infiammandola di rabbia.
“Spiacente, ma non colpisco poveri mocciosi indifesi”.
Lui si mise a ridere. Veramente, si mise a ridere! Gli sibilò: “Cosa cazzo ridi?”
“Sappiamo tutti e due chi è più dominante qui…e non sei tu.”
Che cosa?! Lei era una sentinella. Che importava che lui fosse un tenente da più tempo? Occupava in DarkRiver lo stesso posto che lui aveva in SnowDancer. Quel lupo aveva superato una linea ben definita – e dato che lei non poteva avere il sesso, avrebbe scelto la violenza. Piena di ferocia, gli si scagliò contro. Riley era pronto. Si prese il calcio nella coscia senza indietreggiare, ma fermò il pugno con una sola mano. Lei si stava già muovendo, cambiando posizione d’attacco per avvantaggiarsi di qualsiasi vulnerabilità. Lui bloccò ogni attacco, ma non ne fece di suoi.
“Combatti!” gli urlò. Aveva proprio bisogno di un combattimento e di una bella sudata – avrebbero alleggerito in qualche modo la furia del suo bisogno, che le artigliava il ventre. Un suo calcio ben piazzato gli arrivò contro le costole. Udì un grugnito e sogghignò. “Non siamo così veloci, eh, lupetto?”
“Sto cercando”, disse lui, bloccando gli altri colpi con le braccia, “di non farti male”.
“Non sono una principessa”, sibilò, mirando alla parte più vulnerabile del corpo di un uomo – sì, sì, non era giocare pulito. Ma Riley se l’era proprio meritato. “Prendi questo, Kincaid!”.
“Cazzo, Mercy!” Afferrò il piede che stava per incontrare il suo inguine e la fece ruotare per aria. Senza sforzo.
Annichilita al pensiero di quanto realmente si fosse trattenuto nella lotta, lei girò a mezz’aria e atterrò in piedi con facilità.
“Ti concedo una cosa,” disse lui, rannicchiandosi di fronte a lei, mentre si muovevano in circolo. “Sai come muoverti….gattina”.
L’adrenalina scorreva dentro di lei come un fuoco caldo e liquido. “Sempre meglio di un cane da pastore arrogante e borioso.”
Mantenne il tono calmo, ma stava sudando sotto alla maglietta aderente e nera che si era messa per ballare, e il suo cuore batteva rapido. “Niente artigli”, disse, e fu l’unico avvertimento che gli diede mentre gli si gettava contro.
Non lo vide arrivare. Un momento stava per spaccargli la faccia – va bene, lo avrebbe solo strapazzato un po’, non era mica un combattimento per la vita o la morte – e il momento dopo era stesa sulla schiena con i polsi premuti a terra e stretti nel forte pugno di lui.
“Umf.” Le si mozzò il fiato mentre la parte inferiore del corpo di Riley la teneva inchiodata a terra. Il bastardo era pesante, puri muscoli su ossa solide.
“Arrenditi”. Il suo naso quasi toccava quello di lei.
“Ti piacerebbe”. Ammiccò ai suoi occhi scuri come il cioccolato. “Vieni più vicino”.
“Così puoi mordermi?” Un lampo di bianchi denti. “Prima arrenditi. Poi mi avvicino”.
“Scordatelo!”. Se si arrendeva, riconosceva la sua dominanza, almeno per quella notte.
“Quindi suppongo che dovrò costringerti”.
“Puoi provaci”. Sorridendo, si scagliò verso la sua gola e quasi la raggiunse, quando – usando una mossa che doveva essere illegale, poco ma sicuro – lui la fece girare cosicché la sua fronte fosse schiacciata contro il terreno ricoperto di foglie, mentre i suoi polsi erano sempre bloccati in quella morsa ferrea e tenuti bloccati in alto, sopra la testa. “Bastardo! Stronzo, imbroglione!”.
“Lo dice proprio quella che ha cercato di calciarmi le palle fino in gola”, puntualizzò lui, mentre leccava il sale dalla pelle del collo di Mercy in un gesto indolente e provocante.
“Ti ucciderò”. Era più un sibilo che un suono.
Lui la morse.
Nel punto morbido e sensibile tra il collo e la spalla.
A quella spudorata esibizione di dominio lei si sentì fremere tutto il corpo, come un’onda che scorreva da dentro a fuori. “Smetti”. Le venne fuori un suono rauco, che non c’entrava nulla con il rigetto che avrebbe voluto dare a intendere.
Lui staccò la bocca da lei. “Ti ho bloccata a terra.”
“Roba da lupi. Io sono un felino.”
“Ti ho comunque bloccata sotto di me”. Strofinò il naso contro la sua gola, annusandola. “E il tuo odore…sei calda, bagnata, pronta”. La sua voce era bassa. Stava facendo il lupo con lei. E il calore tra le cosce di Mercy stava diventando un martellamento pulsante. Lo stomaco le si aggrovigliò in un’onda feroce di desiderio. Mio Dio, era così affamata, così sessualmente affamata. E Riley l’aveva catturata, la sua presa su di lei indistruttibile. In quel momento, al leopardo non interessava che non fosse un felino. Gli importava solo che fosse forte, sexy ed eccitato. Senza neanche accorgersene si trovò a alzare il proprio corpo fino a strisciarlo contro quello di lui, il sedere che lo strofinava, allettava, provocava.
“Se ne parli con qualcuno, ti strappo il cuore”.
“Parlare non è proprio ciò a cui penso, adesso”.
Lasciandole libere le mani, la fece girare sulla schiena…solo per allargarle le cosce e appoggiare con calma la propria erezione contro di lei. Mercy dovette impegnarsi per non gemere forte. Lui si alzò sulle proprie braccia, guardandola con occhi diventati da lupo – le pupille nere circondate da un anello d’ambra riecheggiato nel marrone caldo delle iridi, lo sguardo incandescente come la notte. “Come lo vuoi? Forte?” La sua sessualità era una forza primordiale che si abbatteva sulla pelle di Mercy. “Molto”. Voleva essere marchiata, usata finché non le fosse stata spremuta tutta la vita, ridotta in coma per il piacere. E voleva fare lo stesso a lui. Infilò la mano in quei capelli folti e setosi, afferrandoli. Desiderava sentirli sul suo seno. Tirò giù la sua testa e lo baciò, ringhiando di gola. Lui afferrò la sua gola e la strinse con una mano, premendo delicatamente. “Fa’ la brava”. Questa volta fu lei a mordere lui. Un ringhio assoluto sgorgò dalla bocca dell’uomo, quando il compassato e retrogrado Riley Kincaid si arrese al suo lupo e le diede una dimostrazione perfetta del perché fosse il tenente di più alto grado del branco SnowDancer. La maglietta di Mercy fu a brandelli prima che lei potesse battere le palpebre, il suo reggiseno andato l’istante dopo. La mano di Riley strinse le curve rotonde del suo corpo nudo, e quando lui staccò le labbra dalla bocca di Mercy per scendere lungo il suo corpo, lei sapeva che avrebbe sentito i suoi denti. Ciò che non si immaginava era che Riley avrebbe succhiato il suo capezzolo come se fosse il suo cibo preferito, prima di affondare quei forti denti nella carne delicata di lei come in un banchetto prelibato. Mercy inarcò la schiena staccandosi dal suolo della foresta e si afferrò al liscio calore delle sue spalle. Dov’era finita la sua gonna? Non le importava. Tutto ciò che sapeva era che aveva un magnifico maschio sotto le sue mani e, oh, quant’era bello! Ignorando il suo ringhiare, gli tirò via la testa dal seno e gli morse di nuovo le labbra. Per essere un lupo, Riley aveva una bocca bellissima. Lei aveva desiderato per mesi di prenderla a morsi. Quindi lo fece. Poi Mercy fece scorrere le labbra lungo la sua mascella e sopra i muscoli del collo. Sale, uomo, lupo. Nemico. Il suo leopardo ringhiò ancora. Ma il puro piacere sopraffece tutto. Lui sapeva di buono. Quando Riley insinuò la propria mano nei lunghi capelli di lei e le tirò indietro la testa per un altro bacio, lei non protestò. Fu un bacio selvaggio come il primo, bagnato e profondo, pieno della promessa di un crudo piacere sessuale, senza nulla di trattenuto o proibito. “Adesso”, ordinò lei quando si staccarono, con il corpo che stava quasi vibrando per il bisogno intenso. “No”. Lui scivolò lungo il suo corpo e subito dopo la gonna e gli slip erano andati. Sentì il bacio delle unghie all’interno delle cosce e seppe che era stato fatto di proposito. Nessun dolore, quasi neanche un vero tocco, appena un soffio, solo per ricordare al felino che lui poteva prenderla. Più che sufficiente per far schizzare la sua eccitazione direttamente alle stelle. “Lupo maledetto”. Un’imprecazione strozzata. Allargandole le gambe con le mani forti e dure, lui fece scendere la propria bocca su di lei. Mercy urlò. Riley non sembrava in vena di essere lento e delicato. La leccò con colpi forti e decisi, la succhiò e la mordicchiò. L’orgasmo le percorse tutto il corpo così ferocemente da essere sicura che i muscoli le avrebbero fatto male, l’indomani. Lui continuò a usare quella bocca e quei denti finché lei poté sentire che il suo corpo si stava tendendo ancora dopo un intervallo ridicolmente breve. Ma voleva più che un’altra fiammata di piacere. Afferrandogli le spalle, lo fece tornare su, sapendo che non ce l’avrebbe fatta se lui non avesse cooperato. Le avrebbe dato fastidio…in qualsiasi altra situazione. “Facciamolo, lupo”.
Una mano tra i suoi capelli, che le tirava indietro la testa con forza. “Qual è il mio nome?” Lei gli graffiò la schiena, lasciandogli le tracce delle proprie unghie. Lui non sembrò neanche notarlo. “Il mio nome, gattina. Dì il mio nome”.
“Signor Retrogrado, o per far prima Retro”, disse, mentre si sfregava contro il duro rilievo della sua erezione ancora coperta di jeans, la stessa ruvidezza del tessuto una sensazione squisita. Più di tutto voleva il contatto con la pelle nuda, ma lui non si muoveva più. “Dillo, o niente cazzo per te, oggi”. Lei rimase a bocca aperta. “Fottiti”. “A quello ci penserai tu tra poco”. La baciò di nuovo, lingue avviluppate e denti e indomito potere maschile. “Adesso”, lui spinse contro di lei, facendole sentire il pesante e oscuro calore che poteva avere, “qual è il mio nome del cazzo?”
Era tentata di continuare a ringhiargli contro, ma aveva la pelle lucida di sudore e lui era così grosso e selvaggio e delizioso sopra di lei. E lo voleva dentro di sé. In quell’esatto momento. “Gli uomini e il loro ego,” mormorò, giusto per farlo incazzare un pochetto. “Ora fallo, Riley. O mi troverò qualcun altro”. Le tenne la testa dov’era per un altro lungo momento prima di abbassare il proprio volto su di lei, quegli occhi di ambra che le dicevano esattamente chi era al comando dentro di lui in quel momento. “Che cosa hai detto?” Parole pacate, così calme e pacate. Lei allora spinse ancora e più forte gli artigli nella sua schiena. Questa volta, il lupo ringhiò verso di lei e i brevi, successivi minuti passarono in una furia di vestiti stracciati e bocche che si frugavano, grida di piacere e gemiti. E all’improvviso era nudo sopra di lei. Forte, caldo, bellissimo. Mercy si tirò su dal suolo contro di lui, sentendo i suoi occhi che divenivano quelli di un leopardo, quando lui mise una mano sulla sua coscia per tenerla giù, e si spinse contro di lei con il suo grosso membro eccitato. Lei fece per allungare la mano, ma lui le ringhiò contro. Normalmente gli avrebbe ringhiato anche lei in risposta, ma Riley la stava facendo sentire così dannatamente bene... Perciò lei lo avvolse, lo strinse con la sua altra gamba e gli infilò le mani tra i capelli, alzando il proprio corpo. “Ti voglio dentro di me”. E lui iniziò a spingersi dentro di lei. Mercy trattenne il fiato. Quell’uomo era duro come una roccia e così grosso da far sì che i muscoli le si tendessero al punto da far male. Fremette e vibrò. “Di più.” Lui la prese in parola, spingendosi in lei lentamente, con una concentrazione così intensamente erotica da far iniziare a tremare nell’estasi i suoi muscoli interni anche prima che lui fosse completamente dentro. Poi fu del tutto dentro, e lei non si era mai sentita così presa nella sua intera vita, così intimamente completata. Ma Riley le diede solo qualche secondo per adattarsi a lui; le sue labbra ripresero quelle di lei, mentre il corpo di lui si spingeva dentro e fuori di lei con una potenza di cui il suo leopardo si gloriava. Lupo o no, questo era un uomo con cui danzare. Si mosse con lui, restituendogli il bacio, facendo scorrere le proprie mani lungo il corpo dell’uomo e mordicchiandolo. Lui la tenne inchiodata a terra mentre la prendeva, come sapendo quanto lei avesse bisogno di una cavalcata di quel tipo. Quando Mercy raggiunse l’orgasmo, fu con un violento grido, mentre il suo calore liquido lo stringeva, e con la luce delle stelle che esplodeva dietro ai suoi occhi.
Luci che continuarono a tremolare anche quando lei tornò giù a terra. Riley era ancora bollente e duro dentro di lei, e si muoveva con spinte forti e decise che la portarono di nuovo alla vetta del piacere in pochi istanti. Allora Mercy gli morse il collo al modo dei lupi, e questo lo spinse finalmente oltre il limite insieme a lei.
Etichette:
branded by fire,
brbf 1,
italiano,
traduzione
elenco libri della serie psy/changeling
capitolo 2 - Slave to sensation
Capitolo 2
Lucas si appostò vicino alla vetrata del suo ufficio e osservò le strette stradine in quell’esplosione dei sensi che era Chinatown, la mente fissa sugli occhi nero notte di Sascha Duncan. La sua natura animale aveva subodorato qualcosa in lei, qualcosa che non tornava, qualcosa che non era…normale. Ma lei non aveva proprio l’odore malato della pazzia, piuttosto un profumo piacevolmente seducente, del tutto diverso dall’odore metallico tipico della maggior parte degli Psy.
“Lucas?”
Non doveva voltarsi per sapere chi era. “Che c’è, Dorian?”
Dorian venne a mettersi di fianco a lui. Con i capelli biondi e gli occhi azzurri, poteva essere scambiato per un surfista che cercava l’onda giusta. Tranne che per lo sguardo tagliente e ferale di quegli occhi. Dorian era un leopardo latente. Qualcosa era andato storto nel concepimento e lui era nato come mutaforma in ogni aspetto tranne uno – gli mancava la capacità di cambiare forma. “Come è andata?”
“Ho una Psy che mi seguirà come un’ombra.” Guardò una macchina che passava lungo la strada sempre più buia. Le cellule energetiche che la facevano muovere non lasciavano traccia del loro passaggio. Quelle cellule erano state create dai mutaforma. Senza la loro razza, il mondo a quel punto sarebbe già caduto a picco in un inquinamento di proporzioni devastanti.
Gli Psy si ritenevano i padroni del pianeta, ma erano i mutaforma ad essere in sintonia con il battito del cuore della Terra, i mutaforma che ne sapevano vedere le intrecciate correnti di vita. I mutaforma e, a volte, qualche umano.
“Pensi di poterle estorcere delle informazioni?”
Lucas scrollò le spalle. “E’ come tutti loro. Ma ci sono dentro, ora. E lei è una cardinale.”
Dorian si dondolò sui talloni. “Se uno di loro sa del killer, allora lo sanno tutti. Il loro web tiene ciascuno di loro in contatto con tutti gli altri.”
“La chiamano RetePsy.” Lucas si protese in avanti e premette i suoi palmi contro la vetrata, godendo di quel freddo bacio. “Non sono sicuro che funzioni in questo modo.”
“E’ una cazzo di mente collettiva. Come altro dovrebbe funzionare?”
“E’ che sono fissati con le gerarchie - non credo che la gente comune possa accedere a tutto. Democratici? Decisamente non lo sono.” Il mondo degli Psy, quel freddo e calmo mondo in cui sopravvivevano solo i più adatti, era la cosa più crudele che avesse mai visto.
“Ma la tua cardinale dovrebbe saperlo.”
Era quasi certo che Sascha fosse un membro della cerchia più esclusiva, sia perché era figlia di un membro del Consiglio, sia perché lei stessa era considerevolmente forte. “Sì.” E lui aveva tutte le intenzioni di tirarle fuori tutto ciò che sapeva.
“Mai dormito con una Psy?”
Lucas finalmente si girò a guardare Dorian, divertito. “Stai dicendo che dovrei arrivare a farmi dare le informazioni seducendola?” L’idea avrebbe dovuto essere rivoltante, ma al contrario sia l’uomo che la belva ne erano intrigati.
Dorian si mise a ridere. “Sì, beh, probabilmente ti si congelerà l’uccello.” Qualcosa di intenso e collerico brillò in quegli occhi blu. “Ti sto solo dicendo che loro davvero non provano niente. Sono andato a letto con una di loro, quand’ero giovane e stupido. Ero ubriaco e lei mi ha invitato nel suo appartamento.”
“Insolito.” Gli Psy preferivano stare tra di loro.
“Penso fosse una sorta di esperimento dal suo punto di vista. Studiava scienze. Abbiamo fatto sesso, ma ti giuro che è stato come essere con un pezzo di cemento. Niente vita, nessuna emozione.”
Lucas lasciò che l’immagine di Sascha Duncan gli attraversasse la mente. I sensi della sua pantera si acquietarono, annusando l’eco della memoria di lei. Lei era di ghiaccio, sì, ma era anche qualcos’altro. “Possiamo solo compatirli.”
“Si meritano i nostri artigli, non la nostra compassione.”
Lucas riportò lo sguardo sulla città. La nascondeva meglio, ma la sua rabbia era profonda quanto quella di Dorian. Era con lui quando avevano scoperto il corpo della sorella di Dorian sei mesi prima. Kylie era stata massacrata. In modo freddo. Clinicamente e senza pietà. Chi aveva fatto scorrere il suo sangue non aveva minimamente pensato alla bellissima, vibrante donna che era.
Non c’era alcun odore animale sul luogo, ma Lucas aveva colto piuttosto quello metallico degli Psy. Gli altri mutaforma avevano notato la brutale efficienza dell’omicidio e avevano capito all’istante che tipo di mostro l’aveva perpetrata. Ma il Consiglio Psy aveva asserito di non saperne alcunché, e le autorità nella polizia avevano fatto così poco, che sembrava non volessero trovare affatto l’assassino.
Quando DarkRiver aveva iniziato a indagare, aveva scoperto che c’erano stati altri omicidi con le stesse caratteristiche. E tutto era stato seppellito talmente in profondità che ci poteva essere una sola organizzazione dietro un lavoro del genere. Il Consiglio Psy era come un ragno che con la sua tela arrivava dappertutto e ogni stazione di polizia nel paese era stata presa nella sua ragnatela.
I mutaforma ne avevano abbastanza. Abbastanza dell’arroganza Psy. Abbastanza delle politiche Psy. Abbastanza delle manipolazioni Psy. Decenni di risentimento e furia avevano finito per costituire una polveriera di cui gli stessi Psy avevano acceso la miccia, senza saperlo, con le loro ultime atrocità.
Era guerra.
E una Psy molto particolare stava per finirci dritta nel mezzo.
Quando Sascha arrivò all’edificio di proprietà di DarkRiver alle sette in punto, trovò Lucas Hunter che la attendeva all’entrata. Vestito in jeans, con una maglietta bianca e una giacca di ecopelle nera, non assomigliava affatto all’uomo d’affari che aveva affrontato il giorno prima. “Buongiorno, Sascha.” Il suo lento sorriso invitava a un’identica risposta.
Questa volta era preparata ad affrontarlo. “Buongiorno. Possiamo procedere per l’incontro?” Niente tranne la più fredda praticità sarebbe servito a tenere a distanza quell’uomo – non occorreva essere un genio per capire che era abituato a ottenere quello che voleva.
“Mi dispiace, ma c’è stato un cambiamento nel programma.” Alzò una mano in un gesto di scusa, ma non c’era assolutamente nulla di umile in lui. “Uno della mia squadra non poteva essere in città in tempo, così ho fatto posticipare l’incontro alle tre.”
Lei sentiva odore di inganno. Ciò che non riusciva a capire era se fosse perché lui stava cercando di affascinarla o perché stava mentendo. “Perché non mi hai chiamato?”
“Ho pensato che dato che eri già per strada, avremmo potuto verificare il sito che ho scelto.” Sorrise. “Un modo altamente efficiente di utilizzare il nostro tempo.”
Sapeva che la stava prendendo in giro. “Andiamo.”
“Con la mia macchina.” Lei non protestò. Nessuna Psy normale l’avrebbe fatto. Era lui che sapeva la strada, quindi era sensato che fosse lui a guidare. Ma lei non era una Psy normale e avrebbe voluto dirgli di tenersi per sé i suoi modi da dittatore.
“Hai fatto colazione?” le chiese quando furono in macchina, dopo aver assunto i comandi manuali.
Era stata troppo nervosa per mangiare. Qualcosa in Lucas Hunter stava facendo accelerare la sua discesa nella follia, ma non riusciva a frenare la caduta, non poteva evitare di continuare a ingarbugliarsi con lui. “Sì,” mentì senza sapere il perché.
“Bene. Non vorrei che mi svenissi addosso.”
“Non sono mai svenuta in vita mia, quindi puoi ritenerti al sicuro.”
Sascha guardò la città sfrecciare via, mentre si avvicinavano al Bay Bridge. San Francisco era come un gioiello luccicante accanto al mare, ma lei preferiva i dintorni, in cui la natura aveva mantenuto pieno dominio. In qualche caso la foresta si estendeva fino al confine con il Nevada e poi continuava.
Il Parco nazionale Yosemite era una delle zone selvagge più vaste. Qualche secolo prima, era stata avanzata la proposta di limitare il Parco a un’area a ovest di Mariposa. Ma i mutaforma avevano vinto quella battaglia e Yosemite aveva potuto continuare a estendersi fino a un’ampiezza che aveva ben presto inglobato altre zone boscose, comprese le foreste di El Dorado e di Tahoe, sebbene Tahoe, che sorgeva sul lago, avesse continuo a espandersi.
Ora l’area boschiva copriva metà di Sacramento e circondava la ricca regione vinicola di Napa, per abbracciare Santa Rosa a nord. A sudovest di San Francisco, aveva quasi inglobato Modesto. A motivo del suo continuo sviluppo, solo parte di Yosemite era divenuta un Parco nazionale. La restante parte era protetta dallo sviluppo urbano, ma vi si poteva abitare, a certe condizioni.
Per quel che Sascha sapeva, nessuno Psy aveva mai ottenuto l’autorizzazione di vivere così vicino a zone selvagge. Dubitava che quella terra verde e boscosa sarebbe stata tale se gli Psy ne avessero avuto il controllo. Difficilmente la California sarebbe stata una serie di enormi parchi nazionali e di foreste.
Improvvisamente consapevole dello sguardo interrogativo di Lucas, realizzò che era stata in silenzio per più di quaranta minuti. Per sua fortuna, l’incapacità di fare chiacchiere era un tratto distintivo degli Psy. “Se ci accordiamo e comperiamo il sito che avete individuato, quanto tempo occorrerà per concludere l’affare?”
Lui tornò a guardare la strada. “Un giorno. Quella terra è nel territorio di DarkRiver, ma appartiene al branco di SnowDancer per un caso della storia. Saranno ben contenti di venderla, al giusto prezzo.”
“Sei imparziale?” Data la concentrazione di Lucas alla guida, Sascha colse l’occasione di osservare a proprio agio i marchi sul suo volto. Selvaggi e primitivi, smuovevano qualcosa di nascosto e profondo in lei. Non poteva fare a meno di pensare che dichiarassero la sua vera natura, e che il controllato uomo d’affari fosse solo una maschera.
“No. Ma loro non sono disposti a fare affari con nessun altro, perciò devi solo sperare che io non ti freghi.”
Non era sicura se prenderlo sul serio o no. “Ci sono perfettamente noti i valori delle varie tipologie di proprietà. Ancora nessuno è riuscito a ‘fregarci’.”
Le labbra di Hunter si curvarono in un sorriso. “E’ il luogo ideale per ciò che avete in mente. Il solo pensiero di poter vivere qui farà avere a un bel po’ di mutaforma…dei sogni erotici.”
Sascha si chiese se la sua volgarità fosse solo un trucco per metterla a disagio o innervosirla. Questo leopardo così intelligente aveva capito che lei era incrinata fin dalla base? Sperando di deviare i suoi sospetti, pronunciò le parole successive con una totale assenza di qualsiasi tonalità. “Espressione molto colorita, ma non mi interessa quel che sognano. Voglio semplicemente che comprino le case.”
“Lo faranno.” Di questo Lucas non dubitava. “Siamo quasi arrivati.” Deviò dalla strada su cui erano e ne imboccò una laterale, parcheggiando poi la macchina in un ampio spazio aperto punteggiato d’alberi. Situato vicino a Manteca, il sito non era nei recessi della foresta, ma si trovava comunque in una zona boscosa.
Aprì la portiera e uscì, frustrato dalla propria incapacità di penetrare l’armatura di ghiaccio che Sascha aveva avvolto attorno a sé come acciaio. Aveva predisposto il viaggio e la visita del sito per iniziare a sondarla alla ricerca di informazioni. Ma far sì che uno Psy si aprisse o si confidasse era come cercare di far diventare leopardo un lupo di SnowDancer.
La parte peggiore era che la fonte d’informazioni lo affascinava in ogni suo aspetto. Ad esempio, il modo in cui i suoi capelli così riccamente setosi divenivano ancora più scuri al sole, mentre si muoveva per sgranchirsi le gambe. O il modo in cui la sua pelle riluceva, come miele liquido. “Potrei farti una domanda?” Il desiderio ardente proveniva dal leopardo, ma l’uomo vedeva delle possibilità nel trattare quegli argomenti.
Sascha distolse lo sguardo. “Ma certamente.”
“Gli antenati di tua madre erano chiaramente asiatici, ma il tuo nome è slavo e il tuo cognome scozzese. Sono curioso.” Si mise a camminare al suo fianco mentre Sascha esplorava il luogo.
“Non è una domanda.”
Lucas alzò gli occhi al cielo. Gli pareva che lo stesse prendendo in giro, ma gli Psy non sapevano neanche cosa volesse dire “prendere in giro”. “Come sei finita con questo interessante miscuglio?” chiese, sempre meno convinto di questa Psy.
Lei lo sorprese rispondendo senza esitazioni. “A seconda della struttura familiare, acquisiamo i cognomi da una delle due linee, quella paterna e quella materna. Nella nostra famiglia, il cognomeè stato preso dalla madre nelle ultime tre generazioni. Tuttavia, la mia bisnonna, Ai Kumamoto, prese il cognome di suo marito, Andrew Duncan.”
“La tua bisnonna era giapponese?”
Lei fece un cenno affermativo. “Ai e Andrew furono i genitori di Reina Duncan, mia nonna. Reina ebbe a sua volta una figlia da Dmitri Kukovich, e fu lui a scegliere il nome, Nikita. Il cognome rimase quello materno. Mia madre ha continuato questa tradizione, dato che i nostri psicologi affermano che il radicamento familiare renda più facile al bambino inserirsi nella società.“
“Tua madre ha tratti giapponesi, ma tu no.” I suoi lineamenti erano così unici che non c’era una parola per definirli. Niente in lei faceva presumere che fosse stata prodotta nella stessa catena di montaggio che aveva costruito il resto di quegli Psy, tutti robotici e senza vita.
“Nel mio caso hanno prevalso i geni paterni, nel suo quelli materni.”
Lucas non sarebbe mai riuscito a parlare della propria famiglia in quel modo freddo, impersonale. I suoi genitori l’avevano amato, cresciuto ed erano morti per lui. Meritavano di essere ricordati con tutta la forza di emozioni positive. “E tuo padre? Come ha contribuito alla mescolanza genetica?”
“Era anglo-indiano.”
Qualcosa, nel tono di voce di lei, risvegliò l’istinto protettivo della sua belva. “Non fa più parte della tua vita?”
“Non ne ha mai fatto parte.” Sascha continuò a percorrere il sentiero, cercando di ignorare il dolore della prima delle sue ferite. Non avrebbe potuto andare diversamente. Suo padre era uno Psy come sua madre.
“Non capisco.”
Questa volta non lo prese in giro asserendo che non si trattava di una domanda. “Mia madre ha scelto il metodo scientifico di concepimento.”
Lucas si immobilizzò tanto repentinamente che lei quasi tradì la sorpresa. “Cosa? E’ andata in una banca del seme e si è scelta un donatore che avesse un bel patrimonio genetico?” Sembrava scioccato.
“Detto in modo un po’ crudo, ma sì, è così. E’ la forma di concepimento più largamente utilizzata tra gli Psy al giorno d’oggi. “ Sascha sapeva che Nikita si aspettava che lei facesse allo stesso modo. Non molti della loro razza ricorrevano al vecchio metodo, che pareva antiquato. Sembrava loro disordinato e soprattutto tempo perso, da impiegare piuttosto in occupazioni redditizie, e non portava vantaggi dal punto di vista della selezione medica e psicologica.
“Il procedimento è sicuro e efficiente.” Ma lei non lo avrebbe mai adoperato. In nessun modo avrebbe rischiato di condannare un figlio agli stessi difetti che la stavano portando sull’orlo della pazzia. “Possiamo eliminare sperma e ovuli che portino tare o siano danneggiati. E’ per questo motivo che tra gli Psy i casi di malattie infantili sono quasi inesistenti.” Tuttavia qualche errore poteva essere fatto – lei ne era la prova vivente.
Lucas scosse la testa con un movimento così felino, che il cuore di Sascha fece un balzo. Certe volte era così gradevole e affascinante da farle dimenticare la sua natura animale. Proprio in quel momento lui la guardò con quel nudo calore nello sguardo, e lei seppe con certezza che ciò che si muoveva furtivo dietro la facciata civilizzata era tutt’altro che docile.
“Non sapete quello che vi perdete,” disse, avvicinandosi un po’ troppo.
Sascha non si mosse. Poteva essere un alfa abituato a ricevere obbedienza nel suo branco, ma lei non ne faceva parte. “Al contrario. Ho studiato la riproduzione animale già da piccola.”
Lucas ridacchiò e lei sentì l’effetto di quella risata dentro di sé, in profondità, in un luogo che nessuno avrebbe dovuto essere in grado di raggiungere. “Riproduzione animale? Se la vuoi chiamare così! E l’hai mai provata?”
Sascha faticava a concentrarsi con lui così vicino…così a portata del suo tocco. Il suo odore le parlava di cose pericolose, selvagge, passionali, tutto ciò che lei non avrebbe mai potuto permettersi di sentire. Era la tentazione suprema. “No. Perché avrei dovuto?”
Lui si fece appena un poco più vicino. “Perché, tesoro, potresti scoprire che l’animale che è in te la apprezza.”
“Non sono il tuo tesoro.” Appena pronunciate quelle parole, inorridì. Nessuno Psy avrebbe mai abboccato all’amo, come aveva fatto lei.
Gi occhi di Lucas sfavillarono alla provocazione. “Forse posso farti cambiare idea.”
Malgrado le parole scherzose, sapeva che lui aveva colto il suo passo falso e che stava cercando di capirne il significato. Non poteva ritrattare in alcun modo, ma poteva riportare la conversazione sul piano degli affari. “Che cosa volevi mostrarmi?”
Il sorriso di lui, ammiccante e malizioso, mandò in frantumi l’idea di poter riportare l’incontro sotto controllo. “Un bel po’ di cose, tesoro. Un bel po’…”
Lucas osservò Sascha muoversi lungo il terreno e assaporò il gusto di lei che permaneva nell’aria, caldo ed esotico come la sua origine.
La pantera che si agitava nella sua mente era intrigata dalla donna, desiderava leccarla per scoprire se il suo sapore era davvero così buono come immaginava. Il colore dorato della sua pelle stimolava l’anima del mutaforma, che adorava il tocco; la lussureggiante pienezza delle sue labbra gli faceva venire voglia di mordergliele…nel modo più erotico immaginabile. Tutto quanto in lei era una provocazione e insieme un invito per i suoi sensi.
Ciò che lo aveva spinto a combattere quel desiderio, a frenare l’urgenza che sentiva, era stata la consapevolezza che si trattasse di qualche trucco Psy. Avevano capito, alla fine, come ottenere il controllo sui mutaforma? La sua gente era sempre stata al sicuro perché gli Psy erano troppo freddi per immaginare ciò che li faceva agire, che li spronava e motivava. La vita, la fame, le sensazioni, il tocco, il sesso. E non certo il sesso freddo e asettico che Dorian gli aveva descritto, ma sesso appassionato, sudato, intimo, oscenamente intenso.
Lucas amava il profumo delle donne mutaforma e umane, adorava la loro pelle soffice e le loro grida di piacere, ma mai prima di quel momento si era sentito attratto da una della razza dei nemici. Stava combattedo quella attrazione anche in quel momento, mentre lasciava scorrere lo sguardo lungo il corpo di Sascha.
Era alta, ma per nulla esile. Quel corpo femminile aveva più curve pericolose di quanto avrebbe dovuto essere legale per una della sua razza. Nonostante il completo nero e la rigida camicetta bianca che indossava come una corazza, era sicuro che il suo seno gli avrebbe traboccato dalle mani. Quando lei si chinò per esaminare qualcosa a terra, quasi cedette al desiderio urgente della sua belva. La curva dei fianchi era sensualmente femminile, il suo sedere aveva un’eccitante forma a cuore.
Sascha si voltò verso di lui quasi in risposta al suo sguardo intenso e, nonostante la distanza che li separava, lui poté quasi assaporare la sensualità carnale che lei cercava di soffocare. Accigliato a motivo dei suoi stessi pensieri, camminò verso di lei. Gli Psy non erano sensuali. Erano più macchine che esseri umani. Ma c’era qualcosa di diverso in questa Psy, qualcosa in cui lui voleva affondare i denti.
“Perché avete scelto queste sezioni?” chiese lei quando Lucas fu vicino. I suoi occhi nero notte lo guardavano senza vacillare.
“Si dice che le scintille di luce bianca negli occhi di un cardinali possano trasformarsi in centinaia di colori in certi casi.” Cercò il suo volto per riuscire a trovare una risposta al mistero che lei era. “E’ vero?”
“No. Gli occhi dei cardinali possono diventare completamente neri, ma questo è tutto.” Distolse lo sguardo da lui. Lucas sperava che fosse perché si sentiva turbata a causa sua. Lo disturbava parecchio esserne così ipnotizzato, mentre lei sembrava rimanere impassibile. “Dimmi del lotto di terreno.”
“E’ una sistemazione eccellente per i mutaforma, ad appena un’ora o poco più dalla città, ma in un’area abbastanza boscosa da poter nutrire l’anima.” Abbassò lo sguardo sulla treccia composta di lei. Il desiderio di allungare la mano per toccarla fu così forte e incontrollabile che non riuscì a resistere: le toccò la treccia e la strinse.
Sascha sobbalzò, allontanandosi. “Che cosa stai facendo?”
“Volevo sentire come sono i tuoi capelli.” Sentire, per lui, era necessario quanto respirare.
“Perché?”
Nessun altro Psy che avesse incontrato aveva mai posto quella domanda. “Sono belli. Mi piace toccare cose morbide, setose.”
“Vedo.”
Era un tremito quello che aveva udito nella sua risposta? “Prova.”
“Che cosa?”
Si piegò un poco in avanti a invitarla. “Su, forza. I mutaforma non hanno tanti problemi a toccarsi, come invece gli Psy.”
“Ma è ben noto quanto siate territoriali,” replicò lei. “Non permettete a chiunque di toccarvi.”
“No, infatti. Solo il branco, gli amici e gli amanti hanno il privilegio della pelle. Ma non ci arrabbiamo se qualcuno che non conosciamo ci tocca.” Per qualche inesplicabile ragione, voleva che lei lo toccasse. E non aveva nulla a che fare con lo scovare il killer. Questa consapevolezza avrebbe dovuto trattenerlo, ma era il leopardo che comandava in quel momento, e la belva voleva essere accarezzata.
Lei alzò la mano, ma poi si fermò. “Non c’è ragione per farlo.”
Lucas si chiese chi di loro due lei stesse cercando di convincere. “Vedilo come un esperimento. Mai toccato un mutaforma prima?”
Scuotendo il capo, Sascha colmò la distanza rimasta tra loro e fece scorrere le proprie dita attraverso la capigliatura di Lucas in un movimento a onda che gli fece venire voglia di fare le fusa. Si aspettava che si ritraesse dopo un singolo tocco, invece lei lo stupì accarezzandolo ancora. E poi ancora.
“E’ una sensazione davvero inusuale.“ La sua mano sembrò indugiare, prima di abbassarsi. “I tuoi capelli sono freschi, pesanti e la loro consistenza mi sembra simile al raso di seta che una volta ho toccato.”
Potevi contarci che una Psy avrebbe analizzato minuziosamente una cosa semplice come un tocco. “Posso farlo anch’io?”
“Che cosa?”
Lucas toccò la treccia. Questa volta lei non reagì. “La posso sciogliere?”
“No.”
La pantera in lui si bloccò, immobile, fiutando un accenno di panico nel suo tono. “Perché?”
Etichette:
italiano,
slave to sensation,
sts 2,
traduzione
Iscriviti a:
Post (Atom)